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LA SOLITA MUSICA

Anka Zhuravleva Photo

Quando ti senti impaziente, devi respirare profondamente e ricordarti un valore: l’attendere il momento giusto conta fino a fare la differenza. Aspetta e impegna il tuo tempo riflettendo piuttosto che reagendo istintivamente o in maniera maldestra.

Poi, come è sotto agli occhi di tutti, c’è chi sulle proprie azioni ci marcia per ragioni definite “imprenditoriali”. No: è tutta politica ed è cosa pianificata a tavolino, ovviamente.

Allora, a costoro, non bisogna concedere alibi morali, non ci sono più molte opzioni: se si applicano formule per lucrare sulla gente, e per prendere anche voti, arrivando persino a negare fermamente con la stampa la scelta di buttarsi in politica, smentendola – poi – con i fatti, io considero corretto solo il pensiero di Jean-Paul Sartre.

“La fiducia si guadagna goccia a goccia, ma si perde a litri.” Sbagliare è umano, scusarsi diventa doveroso, ma lucrare senza pietà ha un prezzo: la perdita della credibilità. Peccato se ne avvedano in pochi.

@lementelettriche
Paola Cingolani
26/04/2024

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“Le energie spese a vuoto”

Per alcuni individui il “bene comune” è un concetto assai astratto
più concretamente esiste solo il “proprio bene”
_ quello loro _ e niente più.

Non sono certa che vivano con piena soddisfazione
anzi credo stiano peggio di chi è meno egoriferito
e un tantino più altruista.

Deve essere molto faticoso
difendersi continuamente dal resto del mondo
e non riuscire a stare neanche con sé stessi
senza fare i doppiogiochisti
o venire a dei compromessi.

Chissà quante energie spendono
più del dovuto
così a vuoto.




@lementelettriche
Paola Cingolani
09/03/2024

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“Ma veramente le offese sono gratuite?”

Dove prendono forma le parole che diventano i romanzi o i libri che leggiamo e apprezziamo?

Nella nostra mente, all’inizio, dato che prima di parlare e di scrivere è necessario pensare.
Definire un’offesa “gratuita” è assai riduttivo, anzi paradossale: tutte le offese sono volute, mai gratuite. Non esistono persone che feriscono per sbaglio, ma ci sono individui che vogliono scientemente e deliberatamente denigrare il prossimo.
Di questo sono sempre più convinta, siamo al cospetto di chi ha scelto di dileggiare l’altrui opinione in maniera evidentemente non liberale, ma assai forte e prepotente.

Si nota palesemente come, con l’alibi del pensiero non omologato, costoro si siano allineati e omologati più di tutti.

La parola è misura e, fino a quando si sceglie una terminologia mirata a ferire e ad insultare, fino a quando si ha la pretesa di attribuire categorie all’altro, si sbaglia nettamente: crediamo sempre di definire il prossimo dimenticando che, per il prossimo, anche noi siamo l’altro.

Le parole ci qualificano e delineano in modo irrevocabile il nostro pensiero. Dovremmo scegliere sempre termini che non siano proiettili se è vero che non vogliamo costringere gli altri ad una difesa.

Alcuni – viste le parole scritte e la pretesa di rivendicare il diritto all’odio – hanno messo nero su bianco da soli idee volte a denigrare coloro che sono liberi di non provare astio e di non essere bollati in categorie. Non la vedo una scelta gratuita, credo sia un pensiero fortemente voluto e sentito. Chi contribuisce facendo eco, se chiama in causa la politica o la stabilità psicologica altrui, compie un atto preciso: arma pesantemente un’invettiva.

Sono sempre stata libera e liberale, di vecchio stampo, non mi riconosco nella definizione di “zecca piddina” che trovo da agosto, quale argomento unico di risposta. Ho scritto e ho letto, mi considero onesta nel recensire quello che apprezzo e ritengo un libro sintatticamente e grammaticalmente scorretto se intercetto errori marchiani.
Concettualmente, poi, siamo tutti differenti: non ci sono esseri umani uguali. Io stessa sono un’anomalia e ne vado orgogliosa, essere anomala, per me, significa non essere omologata, significa restare padrona del mio pensiero e contraria a tutte le imposizioni.

Ci si può raccontare elencando il proprio ideale, senza dover sovrastare né prevaricare, senza la pretesa di avere la meglio, semplicemente senza offendere, né ricorrere a parole forti: è necessario addivenire ad una sintesi di pensiero per costruire, non scontrarsi.
La lotta al politicamente corretto la si fa rispettando le regole sintattiche, grammaticali e linguistiche: non ho mai visto un testo così pieno di errori lessicali, concettuali, di punteggiatura e di latini maccheronici diventare riferimento. Cui prodest?

Non posso certo pretendere di assurgere ad esempio se non argomento correttamente. L’esposizione libera del proprio pensiero è una cosa, l’offesa (mai gratuita, ma sempre scelta) è ben altro e non la condivido. In ultimo, vista la fiera dei luoghi comuni sciorinati, tutti mirati a raccogliere consensi facili, mi assale il legittimo dubbio che questi abbiano aiutato a cavalcare l’onda mediatica e lo scontento nazional popolare.

Ho espresso educatamente la mia idea. Mi hanno detto di tutto, offendendo la mia intelligenza e la mia persona, ma sono fiera di non aver mai replicato alle offese.

“Chiudo gli occhi, mi scosto di un passo. Sono altro. Sono altrove.” (Alda Merini)

 L’intolleranza tra la gente è un male pessimo.
Non è vero che non ho letto: per dare un’opinione bisogna conoscere.
Non è vero che chi presta attenzione alla forma è volto a celare la sostanza.
Quanto più alta ed elevata è la sostanza, tanto più corretta dovrebbe essere la forma.
Non ho gradito l’affermazione “Io non sono un poeta.” – Che cosa c’è di negativo nel fare poesia? Non apprezzo l’inutile melassa di alcuni autori – sdolcinati e monotematici – che scrivono soltanto versi sull’amore, ma è per questa ragione che ho scelto un altro genere, senza doverli necessariamente criticare e senza dover ingaggiare alcuna gara con nessuno.

@lementelettriche
Paola Cingolani
27/02/2024


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Dedicato a Barbara Marchand di Radio Monte Carlo

Il sentimento di gratitudine è una delle espressioni più nette ed evidenti della capacità di provare sensazioni commoventi e positive. Saperla dimostrare senza inutile melassa, ma con profondo rispetto, è un fattore essenziale per stabilire il rapporto con il soggetto gentile o con l’oggetto buono: serve per apprezzare la generosità degli altri.

Quando abbiamo il privilegio di ricevere un dono inaspettato siamo fortunati e dobbiamo mettere da parte, per un attimo, l’ego poiché questo spinge soltanto alla considerazione della propria persona.
Dobbiamo trovare le parole giuste per ricambiare, senza scadere nelle solite frasi stucchevoli.
Lo dico perché, con mia sorpresa, due giorni fa la signora Barbara Marchand di Radio Monte Carlo (e non solo) ha letto in modo magistrale una delle mie poesie contenute nella silloge appena editata con mia figlia: “UN SENTIERO VERSO L’INFINITO”.
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Barbara ha scelto la poesia intitolata “Dove termina ogni illusione”, io ero di fretta, non sapevo niente, ma per fortuna ho sbirciato in rete e mi sono trovata con i lucciconi agli occhi, provando una stupenda sensazione di commozione mentre il mio senso di gratitudine diventava sempre più grande: sembravo una bambina piccola che scarta la sua sorpresa a Natale.

Non sono stata capace di articolare un discorso completo nell’immediato e – per questo – lo faccio oggi.

“Cara Barbara, ti sono debitrice: non avrei mai sperato niente di così esaltante, anche perché ti seguo, ti conosco, so che non sei persona che si ferma ad alcun favoritismo ma porti avanti le tue grandi interpretazioni con professionalità e capacità indiscusse.
E, visto che sono lusingata del tuo interesse, ho ritenuto opportuno dirlo.
Ancora grazie, considerami sempre a tua disposizione, sperando di riuscire – in un qualche modo – a ricambiare.

Paola Cingolani”


@lementelettriche
Paola Cingolani
18/02/2024

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UN SENTIERO VERSO L’INFINITO

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“L’insostenibile mondo piccolo borghese”

C’è un mondo strambo là fuori
_ piccolo borghese e perbenista _
ha bisogno di lavarsi la coscienza
e accende per pochissimo tempo
i suoi riflettori sulla gente diversa.

Così trasforma tutti in dei reietti
_ in personaggi strani e assurdi _
gesto con cui il piccolo borghese
pensa di assolvere ai suoi poveri
inutili piccoli peccati quotidiani
commessi verso la sua comunità
la parte più corretta degli umani.

Fingendosi solidale con il “diverso”
il piccolo borghese si autoassolve
per i suoi piccoli e sciocchi errori
per le proprie mille inadempienze
per la sua mancanza greve di tatto
ostentando attenzione al “normale”.

@lementelettriche
Paola Cingolani
04/02/2024

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“Dissidenti e consapevolmente dignitosi”

Ci impieghi oltre mezzo secolo per scoprire quanto il sapere non sia mutuabile, ma arriva l’ennesima frottola da parte di chi ha la pretesa di schierarti con la massa.
Dì di no.
Sii dissidente, sii dignitoso, amati e rispettati.
Per imparare rivolgiti sempre a chi ne sa più di te, non ascoltare gli innumerevoli contaballe: la vera massa uniforme sono loro, le persone utili solo a farti venire un altro magone.

Infondo ognuno dà per quella che è la sua cifra, sarebbe davvero poco intelligente se perseverassi ascoltandoli.
Lascia lo facciano gli altri, lascia che insistano nella presunzione della sapienza acquisita gratuitamente.
Restano comunque esempi di perfetta e palese insipienza.
Mantieni salda la tua posizione per tutelare la tua identità.
Solo così puoi essere unicità, non farti bastare neanche la rarità: non esistono esseri umani uguali, ricordalo all’infinito.

@lementelettriche
Paola Cingolani
30/01/2024

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Recensione di “Pos(s)esso”- Libro di Rosanna Marani

“La poesia è un percorso verso l’infinito” – è così che sono solita sintetizzare la mia cifra poetica – e nella stessa maniera affermo e confermo la cifra poetica di chi ammiro.
Una delle figure che più mi sono vicine e che stimo maggiormente, a ragion veduta, è quella di Rosanna Marani.
 
La  conosciamo tutti, conduttrice, pilastro del giornalismo al femminile mai eguagliato, blogger, poetessa, scrittrice, aforista e amica speciale. Già, assolutamente speciale perché intelligente, arguta, molto bella – dentro e fuori – e anche generosa, capace di rovesciare gli stereotipi classici della signora nota, la quale si lascerebbe commentare solo da chi, come lei, ha numerosi titoli per farlo.

Invece Rosanna, donna aperta e gradevole, chiama serenamente in causa persino un’esordiente come me, mi lascia facoltà di parola e di giudizio su quello che è stato un lavoro coraggioso e del tutto anticonvenzionale: il suo libro Po(s)sesso.

Con Po(s)sesso la sua grande penna ha firmato un’opera straordinaria e ha affrontato il tema dell’eros con la maestria e la delicatezza dei massimi esponenti di tale genere.

L’amore è armonia, ha un suo ritmo coinvolgente, cattura in maniera totalizzante l’io e ha il coraggio necessario di oltrepassare le barriere dell’ego. L’amore si dirige al noi, è pluralità, sdoppiamento e unione al contempo.

L’amore è fatto di emozioni che si amplificano liberamente e crescono oltre il sé, nell’anima, nella mente e nel cuore di alcune persone, procede al di là della carne e dei sensi.
L’amore è libertà, essenza, esistenza oltre ogni barricata fatta di vecchie pregiudiziali.

L’amore è unione indissolubile, desiderio che genera altro desiderio corrisposto, è una parte dell’esistenza così tanto importante da dover essere assolutamente vissuta, goduta e condivisa.

Tutto nasce dall’uso del linguaggio. Pensieri nitidi derivano da mentalità la cui consuetudine è quella di considerare la parola come misura esatta. La mente formula le idee e la parola le esprime: nulla può essere volgare se frutto di ideali cristallini e lemmi precisi.
La poesia nasce dal pensiero e lo porta a sublimarsi in qualcosa di riconoscibile, non resta solo un’idea trascendente, diviene immanente in chi la coglie e vi si riconosce.

Mai confondere la sensualità con la pornografia: la prima è dolcezza manifesta, la seconda volgarità brutale. Questo è il filo sul quale si snoda la raccolta di Rosanna Marani. A noi intriga la prima, è lapalissiano, e l’autrice lo sintetizza esplicitamente con i suoi versi.
Quel sesso volgare – consumato un tanto all’ora, fine a se stesso – non  è apprezzato, né apprezzabile, ci sembra più un’esercitazione fisica nella quale mancano poesia, mente e spirito.

[ Pos(s)esso – il libro di poesie erotiche di Rosanna Marani, si può acquistare in versione cartacea su Amazon – Po(s)sesso: https://www.amazon.it/dp/197311089X/ref=cm_sw_r_wa_awdb_D.E7zb9V00N4R ]


@lementelettriche
Paola Cingolani
19/01/2024

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“C’è un rimedio anti nausea”

“Lo so. So che incontrerò mai più niente e nessuno che m’ispiri della passione. Lo sai, mettersi ad amare qualcuno, è un’impresa. Bisogna avere un’energia, una generosità, un accecamento… c’è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un precipizio: se si riflette non lo si fa. Io so che non salterò mai più.”

(Da “La nausea” – Jean-Paul Sartre)


Io sono così perché è così che mi sento da qualche anno, non voglio più combattere per salvaguardare me stessa. L’amore e la passione sono qualcosa di totalizzante, non devo – poiché non lo desidero – fare la guardia ad una persona adulta. Non è nei miei piani questo genere di impresa, non c’è stato mai, neanche quando ero giovane, inesperta, meno matura e meno sicura di quanto valgo.
Sono sì una persona molto generosa: resta il fatto che non spreco le mie energie. Condivido ogni cosa con chi mi ricambia.

Piuttosto contemplo l’amicizia, non salto più nel vuoto cosmico, per nessuno. Mi viene la nausea al solo pensiero di quello che ho visto e, sentirmi dire “Sei come me” da chi ha mentito senza vergogna, mi causa dispiacere. No, io ho perfino taciuto pur di non offendere e non avevo alcuna menzogna da coprire, non a mio vantaggio.

Ho sposato un silenzio da finta succube perché si crede meno agli onesti a vantaggio di chi racconta balle colossali.
Se la verità non mi spettava, oggi l’ho detta pur di sentirmi libera: mi venite a cercare? Aspettatevi solo una cosa, ho il coraggio di essere intellettualmente onesta. Due conti potevate farli – avreste dovuto farli – quando era il momento opportuno.

@lementelettriche
09/01/2024
Paola Cingolani

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“Capodanno è come ogni giorno”

Abbiate cura di voi stessi e degli altri

usate dire le parole più misurate

fate ricorso ai silenzi eloquenti

siate presenti

accorati

accorti

impegnatevi senza calcolare un ritorno

metteteci l’anima che ancora vi resta

fermatevi ad intervalli regolari

per pensare positivamente

per riprendere il fiato

per non sbagliare

perché esistere è vedersi sottrarre pace

e il sorridere non è mai tempo perduto

mentre i giorni cupi

l’inadeguatezza

l’insipienza

vanificano tutta l’umanità.



Inoltre abbiate fame di conoscenza

è infinita e non prevede scorciatoie

così

auguro a tutti voi ciò che vorrei io

perseveranza

resistenza

coraggio

salute

per andare a passi lievi verso la meraviglia.



Custodiamo le cose preziose

specie se sono immateriali

la bellezza

le affinità

gli affetti

il bene

le stiamo annichilendo noi.



Smettiamo di confonderci

vivere non è gareggiare

orgoglio non è dignità

volere non è valore

né mai lo sarà.


@lementelettriche
Paola Cingolani
31/12/2023

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“Il centro della scena”

Rodney Smith photographs 

Solitamente abbiamo l’idea che gli egocentrici siano sicuri di loro stessi perché portati a sentirsi al centro dell’attenzione.

All’apparenza ci sembrano forti e invincibili, ma potrebbe non essere così. Dovremmo capire – al contrario – che necessitano di un faro puntato su di loro essenzialmente perché temono di non essere mai abbastanza.

L’egocentrico è solo una persona molto più fragile e pretende il centro della scena pur di dimostrare la propria esistenza.
Un individuo tale è qualcuno che, per atteggiamento e per comportamento, si pone al centro di ogni situazione o conversazione solo con i propri problemi. Se non ce li ha, se li inventa, va a braccio: è un tipo che trascura e tralascia la presenza e gli interessi di chiunque altro.

L’occhio di bue dev’essere costantemente acceso sulla parte che egli recita.

Chi è realmente così, addirittura, pare non riesca a provare forme di sensibilità per gli stati d’animo altrui. Pur fingendo, non riesce.
O a causa di Ego ipertrofico, o a causa di insicurezze cronicizzate, diventano ridicole proiezioni umane – per nulla compiute – persone pesanti ed incapaci di qualsivoglia complicità col resto della gente.


@lementelettriche
Paola Cingolani
30/12/2023

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“Il momento giusto, forse”

Mi sono sempre detta
come fosse un mantra
o una preghiera
che c’è un tempo per tutto.

Il momento
magico
fatidico
misterioso
non accade mai prima
né potrebbe verificarsi dopo.
Resta collocato in una dimensione
di cui non si ha alcuna coordinata logica.

Chi non ha grandi rimorsi va molto oltre
però
quando arriva il tuo attimo lo scorgi
lo cogli rapidamente e sai che non torna più.

Era così che _ onestamente _ doveva andare
però non ti compiaci neppure della fatalità.
Che il caso t’abbia concesso un Contrappasso?
Sorridi e sai che il caso non esiste
sarà stato il caos.

Non era quello che avresti voluto per voi.

Quando ormai ero arresa al non detto
inaspettata
ecco l’occasione per dire parte del tutto
ma quanto mi costerà la verità?
Il tempo mostrerà il suo conto
è per questo che sono molto serena
la mia certezza è d’essere in credito.

So di aver pagato più del necessario
_ con reali investimenti emotivi _
tuttavia
non mi posso esimere dalla verità
magari
se fosse stato fatto male solo a me
sarei stata meno affranta.


@lementelettriche
Paola Cingolani
28/12/2023

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“Alla furbizia preferisco l’intelligenza”

Dove prendono forma le parole che diventano i romanzi o i libri che leggiamo e apprezziamo?
Nella mente, all’inizio, dato che prima di parlare e di scrivere bisogna pensare. Ogni persona ha un posto che predilige, un proprio rifugio dove sentirsi a casa e dove lasciare che la propria creatività si liberi, realizzando qualcosa di nuovo e completamente suo.

Così ogni autore ha un luogo dove meglio poter scrivere, un luogo quasi mai solo fisico, dove nascono le sue idee, vengono create trame, personaggi, mondi paralleli ed immaginifici.
Un libro nasce proprio dall’idea di raccontare – da parte di scrittrici e scrittori – i luoghi dell’anima, quelli dove le frasi si formulano per poi diventare (anche) capolavori della narrativa o della letteratura contemporanea.

Alcuni libri – tuttavia – si rivelano semplici fenomeni da botteghino e le caratteristiche del capolavoro non ci sono affatto.
Diciamolo, il paradosso vuole che vi siano inesattezze sociologiche, storiche, linguistiche, sintattiche, grammaticali e niente altro dentro se non una valanga di luoghi comuni.

Però la gente non pensa da sola, segue la moda e – quando un testo è condiviso da tanti – pare assurga a condivisibile, come se il passaggio fosse ovvio.
Ciò mi amareggia nel profondo: mi accorgo di quanto poco sia abituato il lettore italico al giudizio critico. Meglio il pregiudizio, così si colloca con i più e sta in compagnia.

Molti autori già noti, al centro della scena letteraria, apprezzati dal grande pubblico, aprono volentieri le loro case e i loro taccuini a tutti coloro che sono curiosi di sapere qualcosa in più su dove, come, quando e perché nascono alcuni personaggi nei loro libri.
Si prestano alle analisi linguistiche della critica letteraria, anzi – rivelo una cosa – sono ben contenti di esserne il centro dell’attenzione.

Chi mi spaventa è l’individuo furbo, non mai quello intelligente, è colui che dal niente diventa un caso poiché a seguirlo c’è la pletora: la massa non si sofferma mai abbastanza sul senso di certe parole o di certi toni.

Una volta costruito il caso, il gioco è fatto: la moda è solo un modo di fare, persino antico come il mondo. “Divide et impera”.

Se rompi gli schemi (anche solo apparentemente) sali in vetta, basta una cosa da poco.
Se puoi diventare rumoroso (non serve l’armonia, basta il caos), fai eco.

L’essere umano dimentica spesso la sua caducità. Al rumore, dopo un po’, ci si abitua persino.
Se confrontato con la musicalità cessa, si perde nell’oblio, tanto che il baccano non si ode più.

“Sic transit gloria mundi”.


@lementelettriche
Paola Cingolani
21/12/2023

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“Il silenzio degli indecenti”

Pensavo all’opera di Hesse, Siddartha, riflettevo sul farsi custodi delle domande che nascono tra le pagine, cercando di andare molto oltre il pregiudizio, al di là del senso di bene e male, ricercando il significato simbolico nascosto in ogni accadimento.

Siddharta rifiuta di abbracciare in modo totalizzante gli insegnamenti di un solo maestro, convinto che non esista una verità e che la saggezza sia diversa e unica per ognuno di noi. 

Egli comprende che bisogna vivere la vita, immergersi in essa, assumendosene il rischio di sbagliare, per aprire la mente e lo spirito. Deve cercare di andare oltre alle proprie convinzioni, spogliarsi delle proprie credenze, lo deve fare sperimentando vie mai intraprese: è questo il modo di conoscersi a fondo.

Quelli che chiamiamo errori sono, in realtà, delle pratiche di vita che ci permettono di arricchirci, di imparare, di conoscere meglio, di entrare in contatto con il mondo attraverso esperienze dirette, ma non mediante teorie astratte, che non ci porterebbero alla vera comprensione.

Siddartha scopre che la Natura è un ciclo eterno di opposti complementari, come il bianco e il nero. In questo modo si accoglie l’interezza dell’esistenza, non la si divide in bene e male, in buono o cattivo, in luce ed ombra: tutto è parte dello stesso ciclo e niente va rifiutato a priori solo perché originato dal giudizio personale, da regole sociali stringenti o da leggi familiari.


Qui mi viene in mente quella maggioranza che alza i toni, penso alle urla di coloro che vorrebbero stabilire “una normalità uguale per tutti”, quel baccano che rivendica giustizia, che rifiuta idee libere e non capisce come – a renderci uguali – è solo l’essere tutti differenti.

Ognuno è un mondo a sé stante, non esiste la possibilità di condividere simili concetti, non c’è altro che questo silenzio – assenzio degli indecenti. Gente che non si espone o perché non comprende la palese manipolazione, o solo per non inimicarsi la massa.
Proprio questo silenzio tremendo contribuisce ad amplificare le grida di chi offende e mi ferisce profondamente. Chi finge il nulla, agli occhi miei, è solo loro complice.

Sulla base di tali idee ristrette, purtroppo, ci sono persone che etichettano male e ingiuriano chiunque possa ancora avere la sua facoltà autonoma di giudizio o di pensiero.
E, come non bastasse, siamo qui, ad essere additati persino a livello politico: fortuna dicono di battersi contro il politicamente corretto.
A me sembrano tutti pseudo ideali sconnessi e corrotti.

@lementelettriche
Paola Cingolani
15/12/2023

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“La sorte è beffarda e le parole hanno una forma”

Mariam Sitchinava Photography

Dove prendono forma le parole che diventano i romanzi o i libri che leggiamo e amiamo?
Nella mente, all’inizio, dato che prima di parlare e di scrivere è necessario pensare.


Ogni persona, poi, ha un luogo che predilige, un proprio rifugio dove sentirsi a casa e dove lasciare che la sua creatività corra libera, realizzando qualcosa di nuovo e completamente suo.
Così ogni autore ha dove scrivere, una dimensione quasi mai solo fisica, dalla quale nascono idee, vengono create trame, personaggi e mondi immaginari.

Un libro nasce proprio dalla voglia (a volte inconsapevole) di raccontare, di raccontarsi – da parte di scrittrici e scrittori – per narrare anche dei luoghi dell’anima, quelli dove le frasi hanno preso forma fino a diventare i capolavori della narrativa e della letteratura contemporanea.

Alcuni libri si rivelano dei semplici fenomeni da botteghino, le caratteristiche del capolavoro non ci sono affatto.
Diciamolo, il paradosso vuole che ci siano inesattezze sociologiche, storiche, linguistiche, sintattiche, grammaticali e niente altro dentro.

Però la gente non pensa da sola, segue la moda e – quando un testo è condiviso da tanti – pare assurga a condivisibile, come se fosse un passaggio ovvio. Lo comprano tutti, lo compro anche io.

Molti autori noti, già collocati al centro della scena letteraria e amati dal grande pubblico, aprono volentieri le loro case e i loro taccuini a tutti coloro che sono curiosi di sapere qualcosa in più sul dove, sul come, sul quando e sul perché nascono i personaggi dei loro libri.

Si prestano alle analisi linguistiche della critica letteraria, anzi – vi svelo un segreto – sono ben contenti di esserne al centro dell’attenzione e, se ci sono interviste per loro, provano gratitudine.


Chi mi spaventa è il furbo, quello che – dal nulla – s’improvvisa “caso” editoriale, seguito da una pletora che non si sofferma affatto sul significato di alcune parole o di certi toni.

Una volta costruito il caso, il gioco è fatto: la moda è solo un modo di fare, persino antico come il mondo. “Divide et impera”.


Se (apparentemente) rompi gli schemi, poi sali in vetta, anche con una cosa da poco.
Se puoi diventare rumoroso (non serve l’armonia, bastano il caos e il caso), hai l’effetto eco.


“Sic transit gloria mundi”.
L’essere umano dimentica spesso la sua caducità, e quando anche il rumore, se confrontato con la musicalità, viene meno, finalmente quel baccano non si ode più.

@lementelettriche
Paola Cingolani
07/12/2023

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“Affoghiamo nell’intolleranza”

L’intolleranza (la rabbia e quel fastidio che alcuni provano) mi fa pensare ad una sorta di mancanza di armonia, di sintonia.

Oggi questo fenomeno accade spesso, o nelle relazioni familiari e affettive, o – più in generale – nel mondo che ci circonda. Tutto si tramuta in fracasso, ma il rumore, nel mio immaginario, è nettamente contrapposto alla musicalità.

Costruire un dialogo armonioso, sintonizzato e gradevole potrebbe aiutare chiunque eliminando i fastidi e le molestie percepite.

Naturalmente, l’idea del frastuono mi nasce come una metafora concreta verso qualcosa che causa del fastidio: quel suono, per chi lo sente distorto, diviene irritante.

Una visione più ampia del mondo e dell’esistenza potrebbe aiutare a dare un significato a questo “sintomo” che si definisce come anomalo, accompagnando chi lo subisce nella ricerca di una musica più gradevole. 

Basterebbe sintonizzarsi su una stazione diversa, cambiare disco, ci vorrebbe poco. Ma – gli esseri umani – sono talmente arroganti da ingaggiare lotte contro nemici invisibili. La verità è che l’intolleranza è una gran brutta malattia, però non stiamo discutendo di intolleranze alimentari e questo è il problema maggiore.

Siamo intolleranti ed accidiosi verso chi non cambia la musica che non piace a noi, siamo pronti per definirli con epiteti sgraziati, siamo anche convinti di averne pieno diritto poiché la scusa – infantile – c’è sempre: la (finta) democrazia e il falso moralismo. Ciò che differisce è da condannare, spaventa, deve essere ricusato in nome dei più.

Insomma, la massa, i più, la media, la norma e tutti i luoghi comuni rendono l’essere disumano, non certo umano. Ma – per giustificare processi tanto sommari quanto inappellabili – compiamo l’ultimo, deprecabile scempio chiamando in causa il buonsenso.

Affoghiamo sotto una coltre di intolleranza sottile come parameci in una pozzanghera. Peccato, almeno fosse stato l’abisso, personalmente avrei potuto rivendicare una motivazione dalle profondità insondabili.




05/12/2023
Paola Cingolani
@lementelettriche

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“Leggeri, come le piume, come le pagine di un vecchio libro”


Ci sono libri bellissimi, apparentemente leggeri, ma pieni di significato. Sono grandi lezioni che ci aiutano, ci vengono in soccorso emotivamente, culturalmente, filosoficamente, umanamente e in ognuna delle nostre necessità.

Trattengono – tra le lettere e le parole – mirabolanti esempi e grazie a questi possiamo dare maggior valore a quanto ci troviamo innanzi: il tempo è una variabile continua.

Altri che sembrano densi di senso e saturi di verità incontrovertibili, ma sono solo satirici, carta quasi sprecata, adatti a fare il paio con quanto non dovrebbe mai neanche sfiorare il senso della vita.

Così, esattamente come facciamo noi esseri umani, che commettiamo tanti sbagli perché siamo sempre spinti dalla convinzione del “giusto ad ogni costo”, come fosse a nostra esclusiva ed immediata portata.
Ecco, è in frangenti simili che penso al caro Eugenio Montale: impossibile farne a meno. Lui – quella traccia – l’ha lasciata.

“Gli uomini sono un po’ come i libri: ne leggete distrattamente uno, e non prevedete che finirà per lasciare in voi una traccia incancellabile; ne digerite con ogni zelo un altro, che abbia tutta l’aria di esser degno dell’impresa; e scorsi pochi mesi vi accorgete che la fatica è stata peggio che inutile. Ma sul primo momento, al primo incontro, il risultato finale, la perdita o il profitto, sono sospesi a un punto interrogativo.”

(Eugenio Montale – La piuma di struzzo)



@lementelettriche
Paola Cingolani
28/11/2023

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“La libertà non è che una conquista”


Io credo che il concetto di libertà, in relazione agli esseri umani, sia un diritto ma anche una conquista.
Ne sono convinta perché tutti dimenticano che i nostri nonni, a volte i nostri stessi genitori, per arrivare ad essere liberi si sono dovuti scontrare e battere: con ideologie arcaiche, con credenze superate, con il famoso “Ma che pensa la gente”.
Un cane ha diritto di essere libero a casa – certo, per strada necessita del guinzaglio, ma solo per non finire sotto un’auto e per non azzuffarsi con altri – ma non può, per legge, stare legato con la catena al collo.
Un gatto – specie libera per definizione – ha comunque la tendenza ad avvicinare il suo padrone specialmente per mangiare: e gli fa anche le fusa, lo coccola a suo modo, ma non lo possiede, né ama essere preso quando non è sua l’iniziativa.

Ci sono adulti intelligenti, dei genitori che fanno crescere i propri figli con un cane o un gatto, così i bambini imparano a prendersi cura di un essere vivente, non di un pelouche o di un tamagotchi.
Anche questo è stato oggetto di scherno da parte degli ignoranti, ve lo assicuro, è capitato a me. Sono cresciuta con i cani, di cui era appassionato mio nonno, ho avuto dei cani meravigliosi e mia figlia è nata con il cane qui, a casa.

Sentivo persone chiedermi “Adesso – quando partorisci – con il cane che ci fai? Non hai paura che possa fare del male alla bambina?” e ho riso tanto, però ci rido di più oggi, ogni volta che penso a quel Dachshund (Bassotto). Nessuno poteva avvicinarsi alla culla: lui ringhiava e diventava feroce.
La bimba era da proteggere, quindi solo a noi familiari era concesso di stare con lei.
Ricordo le prime uscite di mia figlia: io, nonno tutto elegante (ci teneva moltissimo) con il mio nano al guinzaglio mentre spingevamo la carrozzella, insieme.

L’ho sempre allattata col nanetto che faceva da supervisore, sempre. Saliva vicino a me, da un lato lui, dall’altro Giulia: eravamo una specie di Presepe, tutto da ridere.

Io mi arrabbio quando sento dire che siamo bestie e penso che dobbiamo imparare tanto da certi animali. Non credo che una madre sottomessa e priva di volontà possa insegnare il pensiero indipendente ai figli, come non credo che un padre troppo autoritario sia una figura positiva.

Credo nella libertà che un genitore autorevole t’insegna, credo nella responsabilità che ti trasmette, non nelle forzature. Soprattutto credo nella leggerezza con la quale ti si avvicina e – aspettando sia tua la domanda – sa risponderti che devi scegliere ma che, per ogni evenienza, c’è e ti aiuterà.

Sono somigliante a mio padre in questo: uno spirito libero, che c’è sempre per chi deve, basta chiedere (anzi, neanche serve), ma che non si impone.
Sono la madre che lascia la chiave, ma non vuole quella di casa tua perché ti sei sposata ed è giusto sia così.

La libertà ce la siamo conquistata da sole, crescendo insieme, imparando insieme: non ho mai abbassato la testa, ho alzato sempre la bandiera dei valori, della dignità, del rispetto, dell’ironia.
Se mia figlia ha scelto di diventare sociologa forense e di frequentare l’Accademia Internazionale, è stata una sua idea. La criminologia è pure complessa, ma la mente umana – alla fine – è figlia delle pregiudiziali e dell’ambiente in cui ci siamo sviluppati.

Siate libere, ma soprattutto liberatevi dalla convinzione dell’ultimo incontro visto come amichevole, quello dove andate per essere accondiscendenti con chi vi ha da sempre controllate, osteggiate, manipolate, ricattate perché è solo un tranello – il peggiore – quello in cui rischiate maggiormente. Purtroppo, chi vi mette sotto scacco, non considera affatto la possibilità di lasciarvi andare: se così fosse, non vi sareste sentite bisognose di stare da sole.
L’incontro chiarificatore, ad oggi, è quasi irraggiungibile anche con una mediazione legale delle migliori. Fino a pochi anni fa era possibile il delitto d’onore e, la libertà che è tanto agognata, bisogna difenderla. Sventolate una bandiera bianca, arrendetevi e praticate il “no contact”.
Cancellate contatti, numeri, azzerate tutto finché non trovate pace, ma perdonatevi e non sentitevi in colpa.

Non esistono esseri umani perfetti, cercate di capire che, se questa gente è tanto abile, dipende esclusivamente dalla maschera che indossa, certo, ma – alla fine – le maschere cadono sempre a terra. Basta saper cogliere il momento, intanto, non alimentate le loro convinzioni o succede solo l’inevitabile.



@lementelettriche
Paola Cingolani
21/11/2023

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“Capita, specie parlando di luce”

  • Fotografia di Mario Giacomelli

Stavo giusto parlando della luce e ho postato un commento da un amico – magari è solo un mio delirio – chissà?

Così mi è venuta in mente la fotografia di due grandi italiani riconosciuti nel mondo per la loro arte: Mario Giacomelli, prima, e il mio amico Lorenzo Cicconi Massi, poi.

Ho scritto più o meno questo:
“Mi possono prendere per pazza, ma mi piace cullare l’idea che considera alcune anime tramutate in pixel di luce, libere di irradiare l’universo intero. Un cammino terreno ha sempre bisogno di seguire delle scie di luce, del resto.
Forse è questo a darmi la sensazione che più m’acquieta: colmo la mancanza e riempio parte del vuoto così.
Lo faccio regolarmente, anche mentre compongo dei versi sciolti.
Comunico con loro, come se mi sentissero, perché so bene cosa mi risponderebbero.
In questa maniera mi trovo, facendo attenzione che non ci sia nessuno, a ridere con la foto di nonna (la mia più grande complice, insieme a mia figlia).
M’accorgo che chiacchiero con la foto di babbo e provo sollievo.
Ho addirittura imparato ad ascoltare di nuovo il sorriso cristallino di mia cugina.
Credo che alcuni amici, specie uno, sia da qualche parte, mi veda e mi sfotta, come sempre ha fatto.
Non posso escludere mi rischiarino la via, soprattutto c’è che io non voglio escluderlo.
La mente umana è una sorta di treno ad alta velocità: se il nostro cuore si lascia trasportare, possiamo metterci un po’ al riparo da alcune sofferenze inenarrabili e – dunque – possiamo andare lontano.
L’istinto di sopravvivenza, quando razionalizziamo, è potentissimo.
Non c’è persona dalla coscienza serena che non trovi la fessura per far entrare in sé quei fasci di luce.”

A questo punto è stato un flash che mi ha fatto pensare a lui, credo fosse inevitabile.

Conosciamo i concetti enunciati da Gilles Deleuze alla luce della sua ontologia?
Quale ruolo è possibile ritagliare per l’arte, data la sua pericolosa vicinanza tra Pensiero dell’immanenza e Reale caotico?
Contrariamente a quanto asserito dalla massa, Deleuze non esce di casa senza un ombrello. L’incontro col Reale traumatico, col Fortunale del caos, non lo trova impreparato, ma ciò non implica certo la sua rinuncia a praticare «un taglio nell’ombrello» per «far passare un po’ di caos libero e ventoso, per inquadrare in una luce brusca una visione che appare attraverso la crepa» (Deleuze, Guattari 2002, p. 206). 

La visione di un brandello di Caos, di un lampo di Reale, è il compito che Deleuze affida al pensiero, alla scienza, e, non da ultima, all’arte. 

Ecco il recente fiorire di studi sulla relazione tra categorie deleuziane (e guattariane), riflessioni estetiche e pratiche artistiche.

Ora, visto che saremo pixel di luce, chi mi vieta di immaginare un percorso meno cupo, tentando di sublimare anche le mie mancanze, consapevole che non siamo nemmeno i titolari della vita, ma che la dobbiamo vivere dignitosamente?



@lementelettriche
Paola Cingolani
02/11/2023

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SCRIVERE, LEGGERE E CAPIRE


Ultimamente ho notato un certo modo di fare, molto scorretto, che è quello di denigrare tutti e tutto. Per fare una critica costruttiva, anche se non richiesta, bisogna avere la confidenza necessaria con la persona che deve riceverla e la conoscenza della materia di cui si dibatte.

Potrei perfino dire all’altro che si sta sbagliando, ma dovrebbe essere disposto ad ascoltarmi. Potrei dire qualsiasi cosa, ma mi si dovrebbe rispondere in modo adeguato, dovremmo trovare un punto d’incontro.
Invece vedo ciance al vetriolo, commenti venefici e per niente intelligenti, né da intenditore dell’argomento.

Si usa dire “Io leggo tanto” per fingersi intellettuali, poi si offende chi è presente sugli store on line affermando anche “Per colpa vostra hanno chiuso le librerie”.
No, non è esatto, le librerie hanno chiuso perché leggete in pochissimi e – del poco che leggete – non comprendete il tanto che c’è dietro.

Non sapete che, un editore serio, investe moltissimo sull’autore e sulla diffusione capillare del suo lavoro: un professionista che non voglia solo lucrare con chi scrive, come prima mossa lascia che si autoproduca e ne valuta l’esordio.

La maggioranza delle case editrici non investe sull’autore perché ci crede, ma vende semplicemente servizi letterari a chi vuole scrivere, e non ne è capace.
Lo obbliga a “comprare un pacchetto all-inclusive“, solitamente composto da copertina, editing, ghostwriter, numero imposto di copie, eventuali podcast con anche il booktrailer e la pubblicità.

Che la casa editrice abbia guadagnato il suo è certo.
Che il libro venda bene e risulti piacevole resta un mistero, tanto glorioso, quanto ben pagato.

Ciò nonostante, assisto ogni giorno alla visione di giudizi feroci nei confronti di chi si autoproduce, da esordiente e – magari – presenta un buon lavoro.
C’è il forte pregiudizio secondo il quale – chi scrive per amore di scrittura – è una sorta di fanatico, un soggetto che vuole esibirsi, uno che pretende il centro della scena.

L’editoria è un mondo particolare, vediamo una strana fenomenologia per cui, pur se non si scrive benissimo, si può arrivare ad essere fortunati: o pagando, o puntando su conoscenze che comprano il prodotto per poi sponsorizzarlo, facendolo acquistare da altri, narrando banalità inaudite ma spacciate come fossero il Verbo.

Non vorrei deludere nessuno, ma non funziona esattamente così, almeno non è automatico e mi spiace per chi ne resta convinto.

Un editore, se non è intenzionato a speculare, vi invita a misurarvi prima con l’autoproduzione, gratuitamente. Valuta e soppesa il vostro operato per poi – se volete continuare – decidere di puntare su di voi.
Ecco che è suo interesse diffondere capillarmente nelle librerie il prodotto che, naturalmente, verrà inserito anche in tutti gli store on line.

Facciamocene una ragione, prima di demonizzare Amazon, Ibs, Feltrinelli e compagnia, perché le librerie – a farle morire – sono solo quelli che non leggono. Noi italiani siamo ultimi in classifica, per dirla com’è.

Aggiungo che, se andassi a dire “Ho scritto un libro bellissimo” sarei poco credibile, mentre, se chi lo legge lo apprezza e lo recensisce positivamente, oltre a fare il passaparola, allora tutto ha senso e acquisisce di valore.

A quel punto – dati alla mano – potrei studiare una campagna pubblicitaria su scala più vasta. Senza passaparola e da esordiente, mi muoverei in maniera controproducente.

Le cose da fare sono e restano queste: scrivere, perché si è appassionati, ma non certo l’essere appassionati significa essere autoreferenziali. Correggersi, facendosi un buon editing. Leggere, tanto e – soprattutto – leggere per capire.

Quanto tempo ci vuole? Quello che serve. Se si sta cominciando sarebbe meglio buttare via fretta, agenda e calendario.


@lementelettriche
Paola Cingolani
01/11/2023




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VAI A VEDERE IL MONDO



Ci sono persone che non si spostano mai, a meno che non le segua qualcuno: gli amici, le amiche, i rispettivi partner o i familiari. Forse hanno timore di restarsene da sole, chi lo sa?

A chi dice di non volersi muovere perché da solo si annoierebbe, onestamente, non presto la mia attenzione. Suppongo non la conti giusta. Quello che manca loro è l’entusiasmo per esplorare un po’ di mondo, il desiderio di ammettere quanta bellezza ci sia, anche e soprattutto nella libertà.

C’è chi – addirittura – si fa la paranoia dell’altrui giudizio: “Se vado senza nessuno diranno che sono una persona fallita, isolata, perdente, incapace di trovare dei riferimenti affettivi nel prossimo.”

Insomma, loro rinunciano a farsi due passi lungo la riviera o in chissà quale altro bel posto del mondo, per quello che eventualmente si potrebbe dire, finendo col non muoversi più.
Sono convinta sia un alibi perfetto per non dirsi che, alla fine, non si ama se stessi sufficientemente.

Si deve vivere ascoltando quello che c’è dentro di noi, non in funzione di chi ci ruota attorno.

Le persone entrano ed escono dalla nostra vita, per mille ragioni. Gli unici sui quali dovremmo poter fare affidamento siamo noi stessi. Almeno così sarà quando lo avremo capito, quando ci saremo sganciati, quando – fieri e desiderosi di intraprendere un percorso nuovo a contatto con la nostra natura interiore – muoveremo i primi passi in solitaria. Senza l’ossessione di cadere.



@lementelettriche
Paola Cingolani
29/10/2023


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QUANTI CIALTRONI

Si afferma ogni giorno di più la figura del cialtrone, ovunque. Un esecrabile individuo privo di capacità, privo di intelletto, senza cultura e senza scrupoli, un essere che – ricolmo solo d’ignoranza – ne sparge inevitabilmente a dosi massicce attorno a sé.

Lo si riconosce immediatamente, alcune volte, poiché il suo tratto distintivo è l’incapacità di confrontarsi con chi ha opinioni che differiscono dalla sua, si sente depositario e custode della verità, come se fosse unica e sempre la stessa, uniformata al mondo intero, mai in evoluzione. Denigratore speciale dell’altrui giudizio, anche se interpellato non risponde. Magari non coglie il punto, però si espone e critica tutti e tutto aspramente, anche servendosi della sua miseria linguistica e grammaticale (siamo le parole che conosciamo e che scriviamo, siamo il modo in cui comunichiamo perché la parola è la misura esatta di chi la scrive o di chi la pronuncia).


Un cialtrone è sempre miserrimo, attacca a random la gente, usa varie calunnie poiché racconta esclusivamente i suoi punti di vista personali – paralleli alla realtà – mai conformi a quanto accade davvero, semplicemente si serve di tante invenzioni che attraggono l’attenzione dei più, come esche. Polemizza della società, degli usi, delle convenzioni, delle persone, dei luoghi, lo fa anche e soprattutto senza alcun dato verificato, generalizza su tutto seguendo quelli che sono i suoi impeti del momento o i suoi dettami personali.

Il cialtrone ricopre una vasta gamma di personaggi loschi che si è auto-conferita diritto di parola, peccato che non si sia soffermata – prima – sulla morale, sul dovere etico, sull’essere coscienziosa, sulla fondamentale importanza del sapere, che è infinito e non mai mutuabile.
La categoria è diffusa ampiamente e rivendica il diritto ad esercitare l’odio e la malvagità, sbandiera impavida il suo scettro da regina tra i bulli e, ormai certa di essere nel giusto, si allarga a macchia d’olio nel nostro consesso sociale.


Quando capiamo che ci troviamo questa gente di fronte, resistiamo: non è un simile personaggio che può insegnare qualcosa di buono ai nostri ragazzi. L’esame più importante che dobbiamo farci è sempre quello di coscienza, mai di ignorante arroganza, al di là di ogni marketing.


Sono molto contenta che sia stata riportata l’educazione civica nelle scuole, ma non mi sarebbe piaciuto sapere che la mia prole dovesse discuterne con un testo scritto molto male, pieno zeppo di errori sintattici, grammaticali e inneggiante al diritto di disprezzare liberamente la qualunque.

Se realmente crediamo che si possa insegnare educazione civica saltando l’articolo 3 della Costituzione, siamo al punto di non ritorno. Per adesso, il progetto folle, è stato sospeso: il Ministro di competenza dovrà risolvere anche questa situazione.

Credo nella letteratura: ogni domanda che ci poniamo, attraverso di essa, può trovare risposte.
Credo nei Padri Costituenti e in ciò che ci hanno lasciato.
Credo nella poesia e nel suo potere sapiente di evocare tutti gli stati d’animo sublimando la sofferenza e dando ancora più valore alla gioia.
Non mi interessa niente di chi vaneggia e dileggia il prossimo: la gente deve essere rispettata o meglio sarebbe far leggere il “De profundis” di Oscar Wilde ai ragazzi, senza dimenticare “Il ritratto di Dorian Gray” dove si risponde a Basilio che non ha alcun senso discutere con un’intelligenza esaurita.



@lementelettriche
Paola Cingolani
22/10/2023


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“Qualcosa di eccezionale”

I miracoli esistono e sono miracoli perché capitano una volta ogni tanto, perché sono qualcosa di insolito, qualcosa che non capiamo, perché sono un’eccezione alla regola del non-miracolo.

Tiziano Terzani

L’insolito, l’eccezione positiva, quella bella, la cosa che non ti aspetti ma che accade. Non è nell’ordinario, ma risiede nello straordinario – tanto che non ti spieghi come mai – eppure è un evento che succede, che ha del misterioso e del miracoloso al contempo.

Credo profondamente sia questo ciò che ci sospinge in avanti: la speranza di vivere un simile momento, una sensazione tanto inaspettata quanto bella.

Probabilmente anche il più realista, il meno ottimista, il pessimista per antonomasia, almeno qualche volta nella sua vita, si è trovato a pensare “Ma che bello, quasi non credo sia successo a me, sono proprio contento.”

E credo, anche, di essermi studiata un po’, di avere il vago sentore di come sono fatta. L’aiuto maggiore ci viene dall’introspezione e – se confesso che la pratico assiduamente – non è cosa nuova per nessuno (o forse sì), anche se non si finisce mai di capire chi siamo davvero.

Per quanto concerne il poco che ho imparato su di me, garantisco che la dignità non ha prezzo, ma che spesso si confonde con l’orgoglio ad un occhio poco attento.

Dall’esterno, poi, da dove arrivano giudizi come saette, viene scambiata per una forma di ego smisurato o di necessità del centro della scena. Se non ti danno direttamente l’etichetta della persona stupida.

Però, a dire queste cose o a tirare queste somme (sbagliando puntualmente il totale), mi accorgo che sono sempre stati coloro cui avevo fatto dono della mia fiducia incondizionata, ma non ne sono stati all’altezza – per enne ed uno mila ragioni che neppure voglio approfondire – quindi, tanto so come si fa, io mi adeguo.

A volte, in un eccesso di generosità, mi fingo scema e li osservo, tutti tronfi, felici e contenti, ma certamente assai più stupidi della sottoscritta.

Il miracolo della bellezza esiste ogni volta in cui un rapporto, di qualsiasi genere, non viene ad essere né compromesso, né violato, né interrotto o corrotto.

Il miracolo accade ogni volta in cui si è leali e si gioisce davvero anche per le altrui meraviglie.

Il miracolo c’è sempre, se riusciamo a non praticare l’egoismo spacciandolo per autostima: sono due cose molto diverse, sarebbe già miracoloso capire che gli alibi e le scuse ci rendono assai piccini.




@lementelettriche
Paola Cingolani
21/10/2023

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“Giornate folli”

Sei pronta, è l’ora di pranzo ma tu non lo fai, scegli un bicchiere d’acqua e un caffè doppio, amaro. Ti sei preparata anche psicologicamente: l’esame clinico che devi fare non è doloroso, ma sicuramente fastidioso. Opti per una doccia, manca poco: due ore e tua figlia viene a prenderti (quando c’è lei, l’esito è sempre migliore, ti rasserena). Tutto è concordato con la clinica e con il laboratorio, l’impegnativa è pronta da dieci giorni.

Pensi “Dai, tra poco è fatta.”

Suona il cellulare: è il reparto, lo riconosci dal numero diretto che non passa da alcun centralino. “Signora, buongiorno, volevo dirle che l’esame deve pagarlo, non vada a fare la richiesta dal suo medico. Abbiamo terminato i fondi della convenzione, se vuole lo spostiamo a gennaio o a febbraio.”

“Senta, l’esame si fa oggi, mi serve. Comunque l’impegnativa è pronta, se devo pagare non mi cambia la vita, però – se lo ricordi molto bene – la cosa la approfondisco io. Nell’immediato. A tra poco.”

Chiudo la conversazione e faccio il numero di un amico che lavora in questo campo, chiedo delle spiegazioni, gli dico che è impossibile essersi finiti i fondi stamattina. Ieri non erano previsti questi esami, neanche sabato, né domenica. Ora venerdì poteva starci, non adesso. Che devo fare? Mi dice cosa fare. Bene: parto a razzo, mia figlia tenta di calmarmi, ma non mi convince. Farò l’esame, pagherò, poi farò anche quello che devo perché l’umiliazione e lo scacco all’intelletto non ci sta neanche se si è più furbi, che non significa più intelligenti.
La furbata, dunque, no, non con me.

Mi fa quasi tenerezza: la tecnica è un’imbranata, una principiante, una neofita e ci impiega il triplo del tempo. Mi riempie di complimenti per i miei capelli, perché non dimostro la mia età (che è un po’ come dire “Urca, sei anzianotta, hai 55 anni, ma sembra qualcuno in meno”) poi, finalmente, riesce a mandarmi via.
Esco, dico a mia figlia che odio quel posto sempre di più – che novità – e ci fermiamo a bere un caffè sedute sul muretto, avanti al bar. Già che ci sono accendo la sigaretta elettronica e decidiamo di andare al Centro Unico Prenotazioni con la richiesta per pagare.

Entrate al C. U. P. non c’è neanche la fila: prima magia. Passo la mia richiesta, la signora dello sportello mi sorride e mi dice “Ecco a lei, questo foglio le servirà per ritirare il suo referto. Grazie, signora, buon pomeriggio!” – intanto mia figlia mi fissa e mi strizza l’occhio.
Le rispondo anche io con l’occhiolino, è un cenno come a dire “Per carità non fiatiamo.”

Mi sento spontaneamente di ringraziare la signora per la gentilezza, per la scaltrezza e perché in un nanosecondo ha intercettato la mia esenzione (altro che i fondi finiti: quelli di caffè, forse, ma non era un argomento che mi riguardava).

Seconda magia, esce dal suo ufficio il responsabile.

Nella telefonata, il mio amico mi aveva detto “Mi raccomando, comunque vadano le cose, vai a parlare con Pincopallo.”

“Pincopallo, perdonami, ti posso rubare tre secondi?”
“Paola, dimmi tutto, non scherzare. Tu non mi rubi niente.”

Gli ho raccontato della telefonata assurda ricevuta due ore prima, della cifra chiesta per “presunta” mancanza di fondi e del fatto che nessuno, in verità, mi ha fatto pagare un solo centesimo. Si è arrabbiato, sarebbe andato immediatamente a verificare e si è scusato.

Ora, ho sempre detto che – infondo – sono fortunata: conosco le leggi e la mail per l’assessore alla Sanità Regionale sarebbe partita, avevo già chiara la bozza. Avrei scatenato un bel caos. Perché non stanno così le cose, ne ho consapevolezza e sono parte dell’organico esterno, sfortuna vuole, del reparto specifico dell’Ospedale Regionale. Tra un mese vedrò la presidente delle Marche, la mia specialista. Dato che lei è molto più buona di me, prima di raccontarle che c’è chi ci prova, studio qualche mossa concreta.

Io me la cavo, non mi chiamano a caso la domatrice di coccodrilli, ma la gente deve capire che, se lavora in un ospedale, non sta esattamente in catena di montaggio, coi bulloni.
Sta in mezzo ad altra gente e lavora con esseri umani. Persone già mortificate dal doversi curare, magari.

Poi torno a casa, preparo un’insalata e sento dal TG: c’è guerra ovunque, ospedali bombardati e fanatici che lanciano razzi su coloro che avrebbero pagato mille volte, pur di guarire e di vivere.

Sono giornate folli, paradossalmente giornate nelle quali, i più folli tra tutti, la fanno da padrone.




@lementelettriche
Paola Cingolani
18/10/2023


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NON SEI NIENTE

Fattelo dire – dato che ti sei permesso di alzarmi la voce per uno che neanche conosce la tua esistenza, mentre noi eravamo amici – “Non sei niente, non vali più niente, ti ho rimosso e te lo meritavi.”

Perché detesto chi promette e non mantiene: racconta questo, invece di una lista di stupidaggini lunga come quella della spesa.

Racconta la verità, che avresti dovuto dire anche a mia figlia, racconta che hai fatto scelte differenti o che non hai scelto, semplicemente, perché non stava a te.
Anche se una ragazza (o un ragazzo) che studia tantissimo ci tiene e ci mette il cuore, ma a te serviva solo dire a qualcuno “Conosco io” e non la professionalità, né la formazione vera.

Io sono e resto chi ero, ho un nome che hai visto onorare: non mi interessano certi tuoi atteggiamenti (che non credo siano inconsapevoli) da bello e bullo, improvvisamente non sei stato più niente, neanche un vago conoscente, non solo un amico.

Un amico è onesto, non ti frega e non usa le capacità professionali che gli mancano – ma che tua figlia, studiosa e pronta, oltre ad essere donna – possiede.

Un amico non ti alza la voce se sa di stare in torto e, di certo, io non avrei mai voluto ricordare le promesse disattese. Per la signorilità che a me appartiene, sono sincera, avrei taciuto anche sulle amicizie che vai elemosinando dal mio account.

Ma tu non sei più niente, quindi io ho bisogno assoluto di tagliare ogni collegamento col nulla.

Credo profondamente sia più sano o mi vergognerei di me stessa: troppa bontà con chi non ne è meritevole ha solo una definizione, stupidità, e non è a me che appartiene.



@lementelettriche
Paola Cingolani
13/10/2023

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“Le parole”

Abituarsi, nei social come pure altrove, all’idea che le parole sono rilevanti e hanno maggiore senso – specie se intervallate da riflessioni e confronti – è un’urgenza, una necessità vera.

O capiamo l’importanza del silenzio e della parola, o dobbiamo restare ad un livello basso, molto basso.

Basta con i puntini di sospensione infiniti: sono solamente tre, non è difficile contare fino a tre. Dopo l’ultimo puntino, per cortesia, si lasci uno spazio. Grazie. Tra punteggiatura e parole, come tra parole, bisogna lasciare uno spazio. Nessuna licenza poetica. Non siamo Manzoni che, per suo vezzo, usava quattro puntini di sospensione.

Eh, ma siamo su un social. E chi ci impedisce di essere più corretti, il social? Anzi, stando su di un social, diffondiamo tutto, tanto le cose giuste, quanto quelle scorrette: chi è più giovane e possiede meno pratica si confonde con facilità estrema grazie alla nostra sciatteria.

Poi, altra cosa pietosa, le citazioni senza il virgolettato, né la firma dell’autore: neanche all’asilo copiavamo con la carta lucida, dai vari disegni, così tanto bene.
Oltretutto, chi legge, riconosce la cifra stilistica e l’autore. Se non è sicuro – per verificare – basta buttare due parole su un motore di ricerca. Ecco che abbiamo confezionato una figura pessima, tutta nostra, dal produttore al consumatore. Una classica figuraccia a chilometro zero, insomma.

Se poi usiamo i meme e le parolacce siamo volgari. Uscendo fuori all’improvviso con citazioni zen o con fraseggi simili, no: non ci crede nessuno.
(Forse neanche noi che l’abbiamo piazzata in bella vista abbiamo compreso?)

Immaginiamo che le persone possono argomentare con idee differenti o il mondo sarebbe popolato molto, molto meno. Abituiamoci al confronto civile e, se c’è chi ci degna di attenzione, rispondiamo o siamo destinati a restare soli.

Eh, ma siamo su un social. Certo: a confronto con la civiltà.


@lementelettriche
Paola Cingolani
11/10/23

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“PER ESSERE GRANDI BISOGNA CRESCERE”

Per essere grandi bisogna necessariamente crescere, c’è ben poco da fare.

Non ci si sveglia un mattino dicendo a se stessi d’essere dei giganti, anche perché è così, a furia di menzogne dette al mondo intero, che ci si ridicolizza in un nanosecondo e si collezionano figuracce epiche.

Per essere grandi non servono medaglie, trofei, scranni elevati sui quali salire. La vita non è solo una gara, semmai le gare – a volte e per un periodo – fanno parte della vita. Poi c’è tutto quello che la sportività deve includere ed insegnare: il fair play, la signorilità, la correttezza, il rispetto di regolamenti comuni, l’uguaglianza.

Si emerge tra tanti solo partendo da regole ugualitarie, senza nessun favorito e con tanta buona creanza.

Alcuni non cresceranno mai in tutta la loro vita e, per quanto io gli auguri di stazionare su questa terra a lungo, sono consapevole di quello che dico: resteranno come dei bambini che giocano a nascondino, solo si prenderanno più sul serio e vorranno elevarsi. Ma, c’è sempre lo stesso ma. Più elevato è lo scranno e più ci si fa male dopo, quando inevitabilmente si cade a terra.

E – non lo nascondo, dato che riesco a dire quando basta – esistono persone come me, specializzate nel tagliare gli scranni fasulli e ormai tarlati quasi avessimo in mano un attrezzo elettrico, di quelli da giardiniere.

Allora, ripetiamo insieme, se per essere grandi bisogna necessariamente crescere – di testa e di apertura mentale, di visione soprattutto – a un dato momento io, Paola, posso anche farmi venire a noia chi replica errori marchiani, chi parla alle spalle, chi accoltella vigliaccamente ai fianchi scoperti (visto che non considero la vita come fosse una sorta di macelleria).

Sarai cresciuto d’età come essere umano e va bene ma, già che c’eri, non potevi crescere anche di consapevolezza? Perché – stando così le faccende – sei rimasto ai tempi del pesciolino colorato che si vinceva alle giostre, almeno guardando al tuo approccio con il mondo.

Io mi impegno per essere migliore ogni giorno. Provaci, magari a fasi alterne, forse puoi recuperare qualcosa, come andassi alle scuole serali per ottenere un diplomino. Fai quello che meglio credi, ma adesso restami molto distante, lo dico nel tuo interesse. Sono una generosa.

@lementelettriche
Paola Cingolani
07/10/2023

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“C’è poco altro da pensare”


Tu sei un individuo, un essere pensante, hai la tua testa e le tue nozioni sulle quali organizzi ragionamenti vari. Non vai certamente a prendere frasi di illustri sconosciuti – magari anche ansiogeni – per complicare la tua stessa esistenza o per indispettire nessuno.

Avrai tanti difetti, ma non sei una persona tossica, non sei una portatrice sana di fobie, non ti piace quando si esasperano i toni. Oltretutto – se ti imbatti casualmente in delle evidenze inequivocabili – ti stanchi: specialmente perché sai molto e tieni le cose per te.

C’è poco altro da pensare: questo è quanto ho concluso, perché sono ad una conclusione.

Ora, dire che ogni persona elargisce la sua opinione, è una grande ovvietà che – in quanto tale – spetta anche a me. Se non sono sgarbata, se non uso termini discutibili, se non scrivo parole grevi e ho un pensiero diverso, io pretendo la libertà di esprimermi sinceramente, senza che la mia buona fede venga messa in discussione.

O ti fidi di me, oppure non ti fidi. Delle due, l’una.

Non è che puoi fare entra ed esci dalla mia vita come se io fossi il Colosseo: un monumento senza porte, che lascia passare chi viene e chi va. Non sono neanche una fetta di groviera, un colabrodo, non ho troppi buchi.
Trattengo chi conta e lascio andare chi vuole andare, senza tanti giri inutili, né forzo le cose.

Evito le tossicità dalla mia vita, ma non solo riguardanti le cose. Eludo soprattutto i rapporti malsani, dove io perdo perché onesta e l’altro è perennemente vincente perché autoproclamatosi tale. Non vivo la vita come una gara.

Chi mi lancia addosso dei problemi scarica la mia energia mentale, fisica e psicologica: non mi voglio addossare le responsabilità per conto terzi. Sono errori che non ho commesso io.

Evito la gente che non si sa confrontare, che replica sempre gli stessi sbagli, che rinfaccia agli altri i propri malanni. Dopo la prima opportunità, concedo la seconda: se osservo il perpetuarsi dello stesso errore comincio a percepirla come il perpetrarsi di un crimine.

Ed è così che accorro in mia salvezza. Sono buona, certo, che non significa stupida.

Come ho rispetto io dei tempi altrui, merito che gli altri siano rispettosi dei miei bisogni e delle mie tempistiche, altrimenti c’è un rimedio solo, lasciare andare e prendere distanza siderale da chi non tutela un’amica per difendere le fobie strambe degli sconosciuti.

La mia esistenza e le mie parole vengono sempre minimizzate da una scusa qualsiasi, i miei sentimenti sviliti, le mie emozioni ignorate per correre dietro a gente che – in confronto – il pifferaio magico è niente. Resta il fatto che le fobie non mi riguardano. Chi le ha deve curarsele e non merita elogio alcuno.

Non ti servono le zavorre se non sei un sub.
C’è poco altro da pensare.



@lementelettriche
Paola Cingolani
04/10/2023


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“Osserva attentamente”


“Non dar retta ai tuoi occhi e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono solo ciò che è limitato. Guarda col tuo intelletto, e scopri quello che conosci già, allora imparerai come si vola.”

(Richard Bach – Il gabbiano Jonathan Livingstone)

Ultimamente ho come l’impressione che qualcuno mi stia deludendo.
Capita d’osservare cose strane, atteggiamenti che fanno pensare e valutare situazioni che non avrei certo voluto mai vedere, però mi succede.

Credo sia umano ed è il sintomo che non sono dotata di un cervello così atrofizzato. Allora, se capita questo, mi fermo, siedo e scruto bene, dalla distanza, rifletto anche – mi prendo persino tutte le croci addosso domandandomi dove sbaglio – mentre gli altri, belli tranquilli, se ne stanno là e non si sono accorti nemmeno che io ho capito le loro mosse discutibili.

Andiamo avanti e dopo aver studiato la situazione a fondo non posso che constatare quanto sia distante da me un simile modo di fare, falso, tipico di chi vuole dar ragione a tutti, ma finisce inevitabilmente nello scontro più patetico che ci sia.

Già, perché se non hai il coraggio della verità, se dici male della gente e poi la riempi di like sui social, tu hai qualche problema di logica che io non ho. Allora, sebbene io ci abbia provato, le croci addosso reggile tu. Non è a me che abbisognano, come non era a me che abbisognava un perdono di comodo.

Non cerco lo scontro, non regalo complimenti se non con grande sincerità: che ragione hai per fingere una stima che – alla fine – non dimostri affatto verso di me? Pensi veramente io non veda, anche solo per caso, banalmente?

Io ho visto e, questa volta, ho visto abbastanza.
Non ho guardato con gli occhi: la vista mi ha fatto muovere la testa. Con il ragionamento ho capito molto meglio e, quanto ho appreso di te, non mi è piaciuto affatto.



@lementelettriche
Paola Cingolani
30/9/2023

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“Si piange e si ride: è la vita, ma meglio ridere”

“Nella vita c’è da piangere e c’è da ridere. Ma io son vecchio e non ho più tempo di fare tutt’e due le cose. Preferisco ridere.”



(Luigi Pirandello – Il turno)

Facciamo che – essendo anche io in questa vita – debba trovarmi a ridere di me stessa, per stanchezza, per sfinimento, perché sono autoironica, perché a volte sono geniale e a volte sono solo un’imbranata cosmica.

Facciamo che ultimamente – da quando sto sola, senza che mia figlia possa rientrare qui anche solo per un’oretta – forse ne sento la mancanza (i complici, del resto, contano).

Facciamo che sono stanca e non dormo da almeno una settimana – lo so, rischio di diventare tutta matta e dovrei farmi qualche ora di sonno – e facciamo che di piangere non ne ho voglia, nemmeno se mi paga qualcuno.

Sarò sulla strada della vecchiaia, come diceva il buon Pirandello, tanto che rido da sola comunque vadano le cose?

Ad ogni buon conto – gente – non lo so, l’unica certezza che ho è di aver aperto un gancetto per appendere un ciondolo su di una collana meravigliosa e, fino a ieri, mi sembrava impossibile persino toccarla, tanto mi piace. Avevo paura di romperla, così ho telefonato a mia figlia perché venisse e lo aprisse lei (o saremmo andate dall’orefice). Il gancio regge un ciondolo grande ed ha notevoli dimensioni: la persona che mi ha fatto a mano la collana mi ha mandato persino un tutorial, crederà io sia un’incapace, invece non volevo fare guai, ecco, la coraggiosa che spacca il mondo e non sa aprire un gancio appositamente apribile con un ciondolo.

L’altra certezza è che devo andare a prepararmi la verdura e che vorrei spoilerarvi una cosa bella ma tra qualche giorno, se tutto va bene, vi mostro direttamente l’anteprima.

Ho dormito circa tre ore, è tanto. Ho spalancato gli occhi e mi sa che il mio inconscio ha spifferato tutto a quel due % di me rimasto ancora razionale: non sarà che volevo anticipare l’arrivo di mia figlia, la quale non può passare per impegni di lavoro da due soli giorni?

Sì, ridiamo: è molto meglio.


@lementelettriche
Paola Cingolani
27/settembre/2023

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“Voglio dire grazie, ma non a tutti”

Va tutto come sempre. C’è chi non considera il prossimo e chi merita un grazie di vero cuore.

Io desidero elargire il mio ringraziamento a chi, dopo anni, è come me e non si è infilato nella grotta delle scuse e degli alibi – è un punto di vista assai più intelligente la verità – mi comprende senza dare spiegazioni, mi regala la sua fiducia (il dono più grande) e mi somiglia per generosità.

Se ci penso mi commuovo: siete tanti e non è che fate finta da dietro lo schermo, no, siete veri e autentici, come me.

Io – questo mito dello schermo – lo voglio sfatare: qui non stiamo giocando con i videogiochi, non io, non alcuni di noi, e nemmeno abbiamo una doppia personalità.
Non ce ne verrebbe nulla, né siamo dei poveri esaltati.

Voglio dire grazie a chi mi ha dimostrato un abisso d’affetto, facendo stare bene me e le mie figlie mentre non era tenuto a realizzare così tanto. Lui sa, non dimenticheremo mai.

Voglio dire grazie a chi mi ha detto che sono gentile e continuerò ad esserlo, a chi mi ha capita e mi ha donato la confidenza più grande.

Voglio dire grazie a chi ha preso posto nella mia esistenza ricolmando una mancanza realmente gravissima che c’era da tanti anni: la vita prende, ma la vita rende, non abbiate fretta e non piangete anche se diventa dura, impossibile, assurda.

Riesce a sorprendervi e trovate un fratello nuovo accanto a voi, che vi aiuta, che vi sgrida se partite per una tangente sbagliata, che è onesto proprio come è giusto. Com’era chi – oggi – manca infinitamente.

Non dirò mai grazie, invece – anche se resterò signora ed educata – a coloro che, pensando d’essere furbi, giocano con il mio animo generoso e con la mia intelligenza: se vi siete andati a nascondere e a far ricoprire dalla scusa dell’apparenza, se ci siete caduti, non è un mio problema. Le persone narcisiste sono maligne, donne o uomini che siano.

Di fatto ricordo che volevate gabbare il prossimo a partire da me.

Infondo, fingermi citrulla, è il gioco che preferisco. Per alcuni è uno status praticamente normale. Poi, dopo un po’ mi stanco e chiudo.

Io, prima di ferire la gente, anche se non mi è tanto amica o parecchio vicina, ci penso molto bene ogni mattina e, se sbaglio, mi scuso con estrema sincerità.
Non posso dire lo stesso di tanti altri. Bontà loro.

@lementelettriche
Paola Cingolani
24/09/2023

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“Maschi e femmine”

Fotografia considerata tra le 20 più belle del maestro Robert Doisneau

A casa nostra, maschi e femmine non erano in discussione già quando io andavo all’asilo, a tre anni, dalle mie tanto amate suore dell’Addolorata: la superiora mi teneva su un palmo di mano ed era pure una buona cliente di mio padre.
Il refettorio del loro asilo ha sempre comprato la migliore ortofrutta e si fidava solo dei consigli di babbo. Prima di babbo, abbiamo scoperto quando avevo sette anni, che nonno Cingolani le aveva anche aiutate: solo una settimana dopo che nonno era mancato, infatti, si è presentata a casa nostra la loro responsabile con dei soldi da rendere alla famiglia. Interessi inclusi, ovvio.

Quando venne disse chiaramente cos’era successo: nonno si era offerto con fiducia, pur sapendo che stava con un piede nella fossa, di prestare alle suore del denaro ad un tasso d’interesse praticamente nullo. Rispetto al mutuo che la banca aveva preventivato loro per aggiustare la cappella, la casa, il giardino e – soprattutto – perché costruissero un gran refettorio, l’asilo, le aule e una colonia estiva, le fece risparmiare sapendo che chi di loro gestiva, era una donna intelligente e avrebbe reso alla nostra famiglia fino all’ultimo centesimo. Anche se l’apparecchio al cuore di nonno si fosse fermato.

Infatti il pacemaker cardiaco di nonno si è fermato pochi mesi prima che io compissi sette anni, mamma era praticamente sempre al Centro cardiologico Regionale col suocero e – se non ci fossero stati i genitori di mamma – la madre di mio padre era un’arpia che non si spendeva con le nipotine.

Unica condizione? Non parlarne in famiglia, o nonna avrebbe scatenato gli inferi perché era una persona materiale e, di aiutare il prossimo, proprio non era interessata. Diciamo che l’egoismo cosmico, specie con lei, è stato abile nel seguire la legge del Contrappasso dantesco e ha capito alcuni errori tardivamente, ma non importa, l’ho perdonata per essere libera, per non covare rancore, perché più di quello non aveva capacità di offrire.

Babbo non mi ha mai nascosto l’ovvio, specie da adulta, né ha mai fatto il superiore:

“Vedi, Paola, l’asilo è difronte casa nostra e loro sono state brave persone. Avrebbero potuto benissimo tenersi tutto e non renderci nulla, io non avrei mai saputo perché una cosa sola mi risultava bene, era di poter contare su mio padre. Certo non gli ho mai fatto i conti in tasca e non avevo bisogno, sin da quando ero solo un ragazzino incassavo più di tutti. Mamma ha avuto il coraggio di lamentarsi sempre, perché lei è così: piagnucola ma non ha capito che se fosse stata collaborativa, come siamo noi, la verità non le sarebbe stata mai nascosta.”

Dopo tredici anni, altra superiora: giovane, sportiva, letterata, ironica insegna lettere dove studio io, a “Stella maris” e – se capita – ci scarrozza anche fino a casa, guidando benissimo.

Dopo altri vent’anni nasce mia figlia e festeggiamo: nonno stappava bottiglie di spumante alle 07.00 del mattino perché era “cresciuto di grado” e diventato bisnonno d’una gigantessa.

Ancora tre anni e mia figlia va all’asilo: maschi e femmine come sempre, solo che dalla classe di asilo frequentata da mia figlia escono almeno 6 bambini che già sapevano leggere e scrivere perfettamente, prima delle elementari. Che dire?

Se alcuni bambini andati da loro sapevano già leggere e scrivere a cinque (5) anni grazie all’affetto e alle capacità pedagogiche indiscutibili di suor Maria Elvira si può solo essere contenti.


Mai bigotte, sempre avanti, consegnavano il regalino per la festa del papà dicendo “Chi è il papà a casa vostra? Ecco, consegnatelo a lui, anche se è il padre di uno dei vostri genitori.” e per questo nessun bimbo è mai stato discriminato.

Alcune insegnanti elementari – su richiesta di altri genitori – hanno fatto un cartellone per mia figlia – “Giulia, non ti preoccupare anche se non hai il padre a casa.” e la bambina, per la prima volta, tornava seria, ma si era messa comunque a fare i compiti senza lamentazioni. Ho capito che era successo qualcosa e ne abbiamo parlato.

Sono andata a scuola il giorno dopo, diretta dal preside (mio ex preside e marito di una mia amata professoressa di lettere), ho fatto chiamare la maestra in questione ma non l’ho mangiata o mi sarebbe rimasta indigesta. Ho detto solo “Faccio una promessa. Se non staccate quel cartello vi denuncio, ma finite le elementari, io porto via Giulia. Se vi dice bene. Altrimenti la porto via prima. “

Così, le medie, le ha fatte alla Pirandello che, secondo me, aveva un piano formativo più completo quarant’anni fa. Ha incontrato tanti miei ex insegnanti ed è stato bellissimo.


(Ha preso un “pagellone” finita la terza media e si è lanciata all’ospedale da mio padre perché suo nonno fosse fiero di lei).
Gli ho voluto fare una sorpresa e sono scappata prima dal lavoro per raggiungerlo: lui sapeva già e mi ha fatto promettere di continuare così, perché la nipote era brava e meritava appoggio e fiducia, esattamente come avevo fatto sempre da sola.

L’anno scorso è dovuta andare alla Pirandello per una settimana di supplenza: la bidella l’ha festeggiata portandola in trionfo perché era stata una tra le alunne più brave ed educate.

Oggi c’è il padre di due femminucce che scarabocchia un libraccio col quale definisce “minoranza statistica” le donne e “tutti gli omosessuali”. Visto che un “omosessuale” gli ha corretto l’ortografia e la sintassi per stamparlo meglio, mentre altri vengono insultati dai suoi accoliti, credo che la “correttezza morale” sia al contrario come pure la “logica” di alcune persone. Non siete tutto l’intero mondo.

Ho un messaggio lapalissiano per voi, amanti delle etichette per gli umani e capaci di utilizzare a vostro vantaggio l’alibi del “politicamente corretto” – “Signore e signori, non siete, né mai sarete il mio mondo.”
Pace.

Aveva ragione Saramago in “Cecità” quando scrisse che siamo ciechi, i quali, pur vedendo, non vedono. Chissà dove vi eravate nascosti quando le facevamo noi le lotte contro il famoso “politicamente corretto”. Eravate sotto il letto, al buio?
Ma, se davvero la politica non c’entra, eliminiamo il politicamente e resta qualcosa di corrotto, ecco, un’idea corrotta. Perché voi – di politically correct – non avete che il becco pieno, a ripetizione, come tanti pappagalli che vogliono spennare i cardellini.


(Questa foto per mostrare come sul segnale vi sia disegnato un vigile che aiuta una bimba ad attraversare, ma fuori dalla scuola sono tutti maschi: le femmine facevano già le prove coi bambolotti per evitare l’asilo e gli studi – o per rappresentare una sorta di “minoranza” – forse. E pensare che credevo il mondo fosse andato avanti, stando alle date.)



@lementelettriche
Paola Cingolani
22/09/2023

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“Dire conta, ma anche agire è gran cosa”

“Le cose più importanti sono le più difficili da dire. Sono quelle di cui ci si vergogna, poiché le parole le immiseriscono, le parole rimpiccioliscono cose che finché erano nella vostra testa sembravano sconfinate, e le riducono non più che a grandezza naturale quando vengono portate fuori.”

(Stephen King – “Stagioni diverse”)

Eccoci: comunicare e dirsi le cose è fondamentale, tanto che ogni umano fallimento nasce da una comunicazione interrotta o mancante, fasulla o poco spontanea. Di questo sono più che convinta perché io, personalmente, evito di dare e di chiedere chiarezza soltanto alla gente che non reputo esserne meritevole. Voi spieghereste che vi sentite male – intendo divorati da qualche dubbio o anche traditi – a chi non è una presenza importante nel vostro quotidiano?

Con alcuni non perdo affatto tempo, anzi, faccio in modo che la mia proverbiale trasparenza prenda il sopravvento e li relego nella distanza. Potevano evitare di dire – e fare – la lunga serie di scorrettezze e di critiche con cui si sono dilettati.

Poi ci sono le persone con le quali ho intrapreso un sodalizio: dire tutto, costi quel che costi, è la regola di ogni persona onesta e, scusate, io mi reputo tale.

Oggi abbiamo generali, colonnelli che li affiancano, movimenti omofobi, misogini e xenofobi con tanto di TV che li supporta, folla che li segue, web che ne discute e io vedo solo una gran transumanza. Mi sembra chiaro che ci sia dietro una mossa politica ancora celata ai più, ma non è complicata da comprendere, io ci ero arrivata un mese fa (ma non sapevo ci fosse pure un appoggio tanto grande come un movimento “culturale” di supporto).

Se non sono culturalmente aiutati gli emergenti o coloro che si cimentano nello scrivere da lungo tempo – francamente – sentire che un qualcosa di tanto sgrammaticato sia sostenuto a livello “culturale” (oltre che dal mainstream), mi appare di gran lunga contraddittorio e non riesco a capire come si possa dire “Tuttavia è condivisibile”, specialmente se sei donna.

Parlare o scrivere conta molto, ma si sappia che anche agire è d’importanza feroce: c’è chi si dovrebbe vergognare di parole che immiseriscono, di gesti che squalificano, di non rispondere o di non considerare più amica una donna (come siete voi) solo perché crede di potervi svilire con quel suo presunto sentirsi superiore.

Io mi sarei gettata nel fuoco per gente che mi ha negato una recensione gratuita e canta le lodi d’un folle. Ma sapete cosa vi dico? Questo mi è servito a soppesare il vostro vero valore, ora vi osservo e vedo finalmente la realtà “a grandezza naturale”. Vi avevo costruito addosso una gigantografia, mi sembravate anche essere migliori di me. Adesso sono leggermente più alta io e ho ripreso tutto il mio metro e settantasette centimetri, da scalza. Se metto i tacchi alti (ne ho anche la passione) facciamo un metro e ottantasette. Quando voglio diventare dispettosa è semplicissimo: prendo un bel cappello e supero il metro e novanta centimetri.

A mio padre piaceva tanto vedermi truccata, con i tacchi e con il cappello: gli andavo vicino, gli davo un bacione, lo salutavo e – se c’erano molte persone – ripetevo a voce alta “Ciao, babbo, ci telefoniamo al solito orario” – mentre lui, rideva felice, mi veniva vicino all’orecchio e mi sussurrava “Sei proprio una stronza, c’era bisogno che mi facevi sentire un nanetto anziano?” – “Uh, babbino, tua nipote, cioè mia figlia, ti aspetta: non fare tardi, mi raccomando.”

“Ma signor Cingolani, com’è possibile che lei sia nonno, è così giovane?” Intanto ridevamo, insieme: lui era orgoglioso di quella gran ragazza e di quella bimba, io ero fiera di un padre tanto bello e giovanile.

Apprezzate la mia sincerità: non conosco cattiveria, solo capisco che talvolta mi sminuisco e non è più cosa. Mi si ritorcerà tutto contro, sto per uscire con una silloge? Pazienza, tanto la mia quotidianità non cambia, ma io resto vera. C’è chi resta rabbuiato, incattivito, i figli dovranno crescere e, magari, far di conto con padri simili. Peccato, io sono stata tanto più fortunata e libera.



@lementelettriche
Paola Cingolani
21/9/2023

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“La fotografia è arte”

Courtesy by Lorenzo Cicconi Massi

Ecco che ieri – finalmente – dopo la presentazione emozionante della mostra fotografica di Lorenzo Cicconi Massi, tenutasi all’auditorium Scarfiotti di Potenza Picena, sono andata a godermi le opere con calma.

All’orario di apertura, io e le figliole, eravamo pronte che nemmeno tre piloti in gara si piazzano così rapidamente in pole position. Fosse ancora vivo Scarfiotti (il produttore di Scarface e di altre meraviglie) ci darebbe una menzione d’onore: un po’ per le foto che ho “sparato” io rapidamente (ma niente, non sono proprio capace) e un po’ per l’ingresso appena ha aperto il Foto Club e l’uscita intempestiva nel momento della chiusura.

Mettere su questo blog la foto originale di Lorenzo sarebbe stato più raffinato come gesto, lo so bene, però ci ho voluto piazzare la mia personale riproduzione di questa donna: una che ha combattuto e combatte – ancora – una che forse è alta un metro e mezzo, massimo, una che sembrerebbe poter cadere con un soffio.
La realtà è che lei lavora fieramente la sua terra, non si cura del sole, non sente la stanchezza che sentirei io se facessi le stesse cose e non si è mai stancata, non ci pensa proprio a starsene seduta, riposata, finalmente calma a godersi la sua terza età.

Il suo sguardo la dice lunga, è una lottatrice e – se nasci col DNA di chi lotta – proprio non ti fermi con nulla, non esistono cose che ti spaventano.

Queste immagini rievocano le nostre radici, celebrano un popolo che oggi è diventato rarità e, per questo, credo siano ancora più preziose.

Così ho ricordato nonno, i suoi amici che lo chiamavano in campagna perché lui sapeva sistemare le loro terre e i loro animali persino meglio.

Ho ricordato babbo, quando io avevo appena sette anni e facevo i giri in campagna con lui che comprava interi campi di ortofrutta: un giorno la signora non si fidava nel darci i carciofi per 100.000 £ e ci ha chiesto di restare immobili sul suo ballatoio. Nel frattempo è entrata in casa rapidamente per uscirne subito dopo con un libricino dove c’era scritto TABELLINE.
Ho scoperto così che non era andata a scuola e non sapeva contare, dunque temeva di poter essere fregata.

Babbo si conteneva, ma in macchina ho cominciato io a dire “Vedi babbino, doveva essere proprio una testona, ma perché non è voluta andare a scuola come faccio io? Bisogna studiare, accipicchia, o si fanno le figuracce.”

Mio padre, ridendo di me (che, a 7 anni, ero convinta pure di aver ragione) e della situazione imbarazzante per tutti e tre, era contento. Crescendo ho capito che non ha deriso affatto la signora, ma certamente la mia ingenuità e la mia convinzione estrema lo hanno divertito moltissimo.


Grazie Lorenzo, scusa se sono tanto incapace anche col cellulare.
Non sarò mai brava come te, ma una cosa è certa: riconoscerei le tue fotografie ovunque.


@lementelettriche
Paola Cingolani
17/09/2023

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La stanchezza

Foto dal web

Ci sono momenti – anche duraturi, capaci di protrarsi per giorni – nei quali facciamo fatica persino a gestire le emozioni apparentemente più semplici.
Personalmente, le sole cose belle, quelle che che mi donano sollievo, sono mia figlia, il mio cane e i miei amici, ma non tutti, come credo sia scontato.
Di alcuni mi scopro giusto poco più che una conoscente superficiale, ed è deludente, anche perché credevo di averci capito qualcosa in più. La realtà è che io non avevo approfondito abbastanza (o pensavo di averlo fatto, sbagliando, perché io, a volte, non ci azzecco per niente, come capita a tutti) solo, la mia consuetudine rinomata, è quella di ammettere gli errori o di spiegarmi per non essere interpretata male.

Ma tranquilli: riesco a non spiegarmi e a non farmi capire anche meglio. Forse sto andando verso l’invecchiamento precoce, molto precoce direi.
Questo è molto stancante: alla fine la responsabilità è sempre e solo mia. Un po’ il senso di quello che dice Pessoa quando si riferisce alla stanchezza dell’intelligenza astratta nel suo capolavoro “Il libro dell’inquietudine”.

Cado nel loop di pretendere di poter tenere d’occhio attentamente tutte le persone che contano per me e disperdo energie pure con chi, di me, se ne frega o – comunque – non mi ricambia affatto come dovrebbe. La mia testardaggine mi impedisce di inaridire alla stessa maniera, quindi va bene comunque, proseguo – il mio non è un blocco mentale, ma una grande apertura verso gli altri – e vado avanti in qualche modo.

Settembre da noi è sempre una piccola-grande rivoluzione: culturale (mostre, concerti di musica classica, occasione d’incontri piacevoli) ma quest’anno mi rendo conto che arrivo a settembre dopo un’estate che mi ha provata – per più ragioni – e dovrei allentare la tensione accumulata.

Da qui in avanti ho pochi obiettivi ma sono solidi e voglio concludere tutto respirando, anche riprendendo fiato, ripartendo bene (anzi, evitando di fermarmi proprio).
Due mesi, cose da concludere, esami medici da preparare, il fatto di essere pronta per un dicembre che mi dovrà vedere come l’anno scorso, vincente. Vi assicuro che vincere con certe situazioni è sempre un po’ un terno al lotto, nulla risulta mai tanto scontato.

Respiro e riparto: delle nottate insonni non mi curo. Vedrò cosa fare dopo.
Prima o poi, avrò tempo persino io.




@lementelettriche
Paola Cingolani
15/09/2023

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“Pseudo confronti”


Durante uno scambio verbale o un qualsiasi confronto dialettico, uno dei metodi per confutare la tesi dell’altro è quello di sottolinearne la falsità, non tanto dei fondamenti, quanto delle ovvie conseguenze.

Si tratta dello strumento retorico definito come apagoge, già illustrato in filosofia da Aristotele, che – invalidando in questo modo le premesse dell’altro – afferma esclusivamente la propria verità nell’ambito del contraddittorio posto in essere.

L’apagoge, in sé, possiede tratti simili alla “reductio ad absurdum” di Zenone e all’abduzione: in sostanza diventa un ragionamento logico che, però, contempla una premessa maggiore, realistica, vera e un’altra minore, solo ed esclusivamente probabile ed ipotetica.

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“La cura per la parola”

Io sono convinta che la fluidità di linguaggio, con la grammatica corretta e la sintassi ben posta, siano la testimonianza di quanto leggiamo, di cosa leggiamo e siano inscindibili da come scriviamo.

La precisione e la cura delle parole non possono rappresentare fattori avulsi da tutto questo. Il pensiero stesso che si scriva nei vari social, nei blog o nei libri, non significa che lo si possa fare male, o tanto per dire la nostra. Non si è legittimati a fare male alcunché.
Come avere una laurea non significa essere intelligenti: l’intelligenza non la si studia, la si sviluppa dopo aver immagazzinato nozioni ben rielaborate, in seguito.

Al giorno d’oggi l’incapacità di comporre un testo correttamente non ha più alibi: è sciatteria pura, è mancanza di volontà, è privarsi della necessaria rilettura di quanto abbiamo scritto, magari (o soprattutto) per la fretta di fare click sul pulsante d’invio, guadagnando soldi e consensi facili.

L’ignoranza – ai nostri giorni – non è più una scusa: è una precisa responsabilità. Il sapere non ci viene dall’alto e dobbiamo guadagnarcelo, ma se neppure rileggiamo un messaggio siamo persone incuranti, di noi stesse e di chi lo riceve.

Faccio sommessamente notare che viviamo in un’epoca nella quale le scuole sono cosiddette dell’obbligo. Il minimo sindacale è cosa alla portata di tutti, ci deve risultare sempre vicino, anzi andrebbe visto come uno stimolo da superare.

Quanto scritto in rete, o anche altrove, evidenzia la differenza tra chi si cura di rileggere, di controllare e chi – più superficialmente – non ci pensa affatto.

Nessuno è stupido.
Molti, però, sono distratti e restano in superficie.
In maggioranza c’è la finta pletora dei furbastri, il famoso gregge.
Rarissimi – purtroppo – sono quelli che si confrontano con la parola, la quale è misura.


@lementelettriche
Paola Cingolani
05/09/23

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“Sembra mi descriva: con alcuni è Siberia – sono rimasti in un paio – al massimo è solo un vecchio freezer”

“Io non so perdonare. Né perdonare né dimenticare.

È uno dei miei più grandi limiti forse, e il più lugubre. E meno che mai so perdonare quando una ferita mi è stata inferta da persone dalle quali mi aspettavo affetto, tenerezza, o sulle quali mi facevo illusioni positive.

Ciò non significa, naturalmente, ch’io dichiari guerra o resti in guerra con coloro che mi hanno ferito. Significa che quelle persone le liquido. Le cancello dai miei pensieri, dalla mia vita. Se le incontro per strada le saluto, in alcuni casi ci scambio una parola, ma è come se mi rivolgessi ad un’ombra. Esse non esistono più.

Non v’è uomo o donna colpevole verso di me che non sia finito nella Siberia dei miei sentimenti.”

– Oriana Fallaci

In queste sue frasi, l’autrice sembra mi stia descrivendo: per alcuni è Siberia vera e propria. Non perdo né tempo, né energie – sia chiaro – con l’odio. Non lo faccio perché consumerebbe solamente me e non ho abbastanza masochismo per ferirmi anche da sola. Come non mi appartiene il sadismo tipico di chi ferisce il prossimo.
Semplicemente evito, ma – nel caso in cui dovessi imbattermi con questi personaggi – faccio finta di essere stupida.


“Sono come tu mi vorresti, così mi diverto anche.”

Credo che il nostro cervello abbia un grande freezer dove poter collocare alcuni sentimenti tristi, credo che l’oblio ci venga in soccorso e – una volta congelati – non esiste pentimento perché, avendoci riflettuto molto, non mi sono potuta attribuire responsabilità. Non ad ora.
Sostanzialmente sono rimaste un paio le persone congelate e, di mia sponte, per mia scelta deliberata, non le cercherei neanche a costo di morire: ho una dignità.

La dignità conta, l’orgoglio – spesse volte – è stupido: dato che io non mi sento sciocca, ma ho recitato la parte che mi veniva chiesta, quella della cretina, è probabile che i pupari si debbano tutti arrangiare con un’altra marionetta. Il loro mondo ne è pieno, infondo, che non tornino, tanto sono solo assai imbarazzanti per loro stessi.
Io non cambio, né scongelo niente.

Quando decido – e ce ne vuole – che qualcuno merita solo di essere collocato nella zona del mio cervello dove il sentire unico è l’indifferenza, mi resta – appunto – indifferente.

Il riproporsi, come non avesse mai sparlato alle mie spalle, come fosse tutto giusto, è congelarsi anche di più.

Un paio di personaggi sono venuti a mancare: non che io sia stata felice, ma neppure mi sono stracciata le vesti da ipocrita. Insomma, non è successo nulla, a riprova della mia indifferenza salvifica.

Chiunque provi astio, cattiveria, sentimenti negativi e non sappia sublimare tali rarissime emozioni grazie all’indifferenza, suppongo si possa aspettare solo d’essere tradito, fosse anche moralmente o nell’intelletto, per la volta ennesima.





@lementelettriche
Paola Cingolani
30/07/2023



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“Se la responsabilità viene scaricata è più semplice”

“Se un tale perde la sua busta-paga al tavolo da giuoco, bisogna abolire il giuoco d’azzardo. Se si ubriaca, bisogna vietare i liquori. Se investe qualcuno con la macchina si deve vietare la fabbricazione delle automobili.
Se si fa sorprendere con la ragazza in una camera d’albergo, basta con i rapporti sessuali. Se casca giù dalle scale, non si devono più costruire case.”



Raymond Chandler – “Il lungo addio”

Credo che – se la responsabilità di coloro che non si sanno gestire – viene scaricata su persone o cose, tutto diventa più semplice. Grazie tante. Non sono io che mi gioco la mesata, è il gioco a rubarmela. Se bevessi troppo, allora, dovrebbero abolire ogni alcolico o sarei una povera vittima.
In caso di incidenti – occhio – sono colpevoli coloro che le producono e le hanno inventate le automobili: mi sembra il discorso fili. Rapporti con il fidanzato o con la fidanzata? Pentiamoci e facciamo penitenza: tanto, in una società come questa, la “colpa” finirebbe alla Maddalena di turno. Le scale, poi? A saperlo, quando mi sono frammentata tutti i malleoli correndo giù, avrei dovuto far radere al suolo il palazzo di famiglia.


Già, scaricare addosso alla società, ai sistemi, all’architettura ogni gesto che compiamo, seppure in buona fede, sarà anche comodo, ma è sintomo di stupidità cronica.

Perché – dato che ci siamo – non proponiamo un bel ritorno alle ere primordiali?



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Paola Cingolani
23/07/2023

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“Il verdetto”

Marian Sitchinava Photography

Il male, al contrario del bene, ha il duplice privilegio di essere affascinante e contagioso.

Cioran

Probabilmente una sentenza malevola è più affascinante e, magari, contamina anche l’altrui pensiero su di noi. Può essere, altrimenti non mi spiego un verdetto tanto ingiusto quanto cattivo nei miei riguardi.

Eppure è arrivato – diretto e insindacabile – colpendo la mia persona e la mia sensibilità. Questo è, questo ho deciso, così ti colpisco: a costo di inventare qualsiasi scusa, tu diventi il mostro da abbattere – cara Paola – e ti abbatto come un vecchio ramo secco pericolante. Senza pensarci due volte, insomma. Senza scrupolo alcuno.

Ora, di chiedere “Permesso, scusa se al mondo esisto anche io, abbi pietà di me” non me la sento proprio: si vada avanti, e così sia. Il male è sempre stato negli occhi di chi vuole vederlo, infondo, e se io fossi tanto cattiva, per assurdo, scapperebbe chi gioca ad emettere la sentenza.
Ma, c’è un ma: così come l’hai detto a me, giudice senza toga, dillo a tutti: sii persona onesta e coraggiosa, almeno una volta, se puoi.

Dopo non lamentiamoci se la gente scappa, prende le distanze, si circonda di fiori, di poesia, di libri e d’altro – pur di stare bene – perché il fascino che vi porta ad assumere atteggiamenti tanto maliziosi, sprezzanti e vessatori per il prossimo, è un’attrazione limitata alla vostra mentalità.


Chi è sereno ci resti. Non potevo metterci alcun altro dettaglio, la persona in questione, che sta fingendo con tutti, avrebbe negato.


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Paola Cingolani
11/07/2023

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“Preferisco avere torto marcio” – BLOG

Improvvisamente mi è piovuto in testa il pensiero di come si possa tornare nella vita degli altri, dopo tante menzogne e dopo tanto narcisismo, secondo me persino congenito e patologico, solo per il gusto d’illudersi, di raccontarsi che si conta ancora un po’.
Ho perduto le parole per spiegare, non ho odiato, non odio e non odierò, ma neanche avrò il minimo spiraglio da concedere.
Il fatto è che, nella misura in cui ti hanno fatto soffrire, diventano totalmente indifferenti e tu ti senti bene, sei forte, raggiungi una sorta di beatitudine: loro risiedono nella zona d’ombra della tua mente, quella dove niente e nessuno ha più valore. Sono e restano a distanza siderale. Onestamente non ho neanche un solo termine da spendere per certa gente. E – se mi sono allontanata – non riesco a comprendere la perversione, né la faccia da tamburo, con cui si ripropongono.
Sembrano una peperonata con troppo aglio e io digerisco bene i peperoni, ma l’aglio mi resta tutto sullo stomaco, dunque lo evito molto accuratamente. Il branco, la massa, i più sono sempre convinti di avere ragione.
Un tantino fanno invidia, almeno a noi che ci mettiamo in discussione. In questa Nazione ci si accorge che più si rispetta e meno si viene rispettati, più si paga – in ogni senso – meno si riceve, più si aggirano regole e leggi, più si è agevolati. Ormai siamo la patria dei furbi, e i furbi non sono mai intelligenti: anzi. Scelgono e privilegiano a lungo chi li ha fatti fessi ripetutamente.
Le persone intelligenti ragionano, rispettano le regole, onorano se stesse ed il prossimo, non si sottraggono mai al dubbio. Si mettono in discussione. Gli stolti, al contrario, sono furbi, abili e scaltri nell’accaparrarsi la ragione ogni santissima volta, costi quel che costi. Tanto non sono mai loro a pagare, intendiamoci. Per concludere, se ci rifletto, non li invidio affatto, anzi, scelgo sempre d’essere quella che ha torto. Che mi si lasci sola, in compagnia delle mie rare certezze e dei miei “pazzi” ma santissimi dubbi benedetti, sono sempre stata ben disposta a pagare pegno e abituata a sedere dalla parte del torto. Si sta comodi, soprattutto quando si pensa a cosa non sanno ancora i giudici. Comunque basta così o mi fanno tenerezza e non la meritano. Lascio siano accecati e convinti. Un giorno scopriranno – forse – chi è matto e chi è disonesto. Se non dovessero scoprirlo, gente mia, non faccio miracoli, non sta a me.

“Hai ragione tu, lupo della steppa; mille volte ragione, eppure devi perire. Per questo mondo odierno, semplice, comodo, di facile contentatura, tu hai troppe pretese, troppa fame, ed esso ti rigetta perché hai una dimensione in più. Chi vuole vivere oggi e godere la vita non deve essere come te o come me. Chi pretende musica invece di miagolio, gioia invece di divertimento, anima invece di denaro, lavoro invece di attività, passione invece di trastullo, per lui questo bel mondo non è una patria…”

Hermann Hesse – “Il lupo della steppa”

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Paola Cingolani
27/05/2023

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BLOG – “Il dono dell’imperfezione”

Ci sono giornate difficili e persone che fanno grandi sforzi per superarle: l’imperfezione è un dono, ci spinge a migliorarci e a oltrepassare gli ostacoli, nonostante tutto.
Ieri è stata una giornata nella quale mi sono stufata moltissimo, niente arriva a stancare più dell’ovvio, specie se te lo ripetono con la pretesa di inculcarti il Verbo.
Non ci sono riusciti: non sono rimasta folgorata sulla via di Damasco, ascoltando una serie di luoghi comuni e di solfe lunghe come tante Quaresime tutte messe assieme.
Ho tentato una replica con grande educazione, ma non è servita.


Il guaio di alcuni è l’aver perduto una semplice capacità come quella di rispondere sinceramente, con onestà intellettuale, e di non saper dire “La tua domanda è sacrosanta, ma – ciò nonostante – non so spiegarti. Mi hai preso in contropiede proprio perché hai sollevato un tema complesso. Continua, però, a cercare la soluzione: magari la trovi.”
Mi sono sentita come una scocciatrice, questo poiché penso, e non è stata una cosa gradevole. Gentile? Sì, sono stata più gentile del solito.
Non è valso, anzi, mi sono imbattuta col tipico passivo-aggressivo che – prima – alza i toni (senza avvedersene, concedo benefici a tutti, specie se immeritati, aiuta a riderne) e – poi – ti rimanda a casa peggio di come eri arrivata, col problema che resta, al quale si aggiunge un bel magone assolutamente evitabile.


Io sono allergica ai luoghi comuni: se mi rispondi con delle cose ovvie e ti inalberi anche, non scendo a compromessi e non discuto più.

Dico “Perdonami, hai ragione, scusami.”
Mi fingo sottomessa, umile e piccolina che nemmeno Bernadette a Fatima avrebbe fatto tanta tenerezza, tu senti di aver vinto, saresti il più forte, ma io so di essere stata molto più gentile. Vado via, a me sale il nervoso, a te il senso di colpa. Questo volevo: ora vieni a scusarti che ti sfotto un tantino.

A questo punto mi scattano le “Paolate” cosmiche: nella mia imperfezione so che – quando una cosa non funziona – bisogna attuare una strategia di cambiamento. Non polemizzo più, né ti avverto, ma cambio tutti i parametri del nostro rapporto. Sei alla fine. Non hai più la mia stima e nemmeno lo capisci subito. Lo vedi piano piano, stai tranquillo.

L’imperfezione è un dono immenso perché – quando senti di non farcela più – ti guardi attorno ed è come se si accendesse un faro nella nebbia, individui chi è solo una zavorra nella tua vita, così la sganci il prima possibile. Se avessi voluto fare la campionessa d’apnea, infondo, non mi sarei presa il brevetto nello stile libero e nel dorso.

Sì che, con un padre come il mio, avrei avuto il migliore degli insegnanti per giocare alla piccola subacquea. Invece ho imparato ad essere educata, come ho fatto ieri, sforzandomi di mostrare volontariamente più rispetto di quanto ricevuto. Meriterei una candidatura agli Oscar, accipicchia.
Tutto il resto rimane qui, davanti casa nostra.

Al mare c’è ancora l’immagine di lui che nuota sotto, io sopra e di noi che ci incontriamo a respirare – dopo oltre un’ora – sulla scogliera, chiacchierando, ridendo e ragionando lucidamente. Questo film nella mia testa è qualcosa che – agli amanti dei luoghi comuni e ai depositari del Verbo – non riesce di capire e si ripete nel tempo, all’infinito.


@lementelettriche
Paola Cingolani
04/05/2023


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“L’infinito è nella brevità”


L’infinito si cela nella brevità
eppure
ognuno di noi è un cercatore
di tempo e d’oro
ma pratica una caccia al tesoro
che non ha senso d’esistere affatto.
***
Se ogni orologio ci somigliasse
si sarebbe molto distratto
_ e con la sua precisione meccanica
deriderebbe le nostre imperfezioni _
siamo abili al misfatto
poco abituati a pensare
soffriamo il distacco
non accettiamo le colpe
rifuggiamo ogni responsabilità
non ci diciamo mai una qualche verità.
***
Mirando all’infinito
ma dimenticando la fine
noi andiamo seminando cocci
per poi cogliere fiori sul selciato
vorremmo passeggiarci sopra
ammettiamolo
qualcuno ha barato
qualcuno ci ha ingannato
e nessuno ci ha informato
né mai abbiamo imparato
che l’infinito è qua
_ negli attimi rari _
esposto nella loro brevità.


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Paola Cingolani
28/04/2023


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BLOG – Il tempo non si spende invano

[…] Tutto, o Lucilio, dipende dagli altri; solo il tempo è nostro. Abbiamo avuto dalla natura il possesso di questo solo bene sommamente fuggevole, ma ce lo lasciamo togliere dal primo venuto.
E l’uomo è tanto stolto che, quando acquista beni di nessun valore, e in ogni caso compensabili, accetta che gli vengano messi in conto; ma nessuno, che abbia cagionato perdita di tempo agli altri, pensa di essere debitore di qualcosa, mentre è questo l’unico bene che l’uomo non può restituire, neppure con tutta la sua buona volontà. […]

Seneca – Lettere a Lucilio – L’uso del tempo

Bene o male, siamo interconnessi: le regole del sociale sono palesi e bisogna sapersi rapportare. Fino a qui, credetemi, ho sempre pensato fosse una tale ovvietà da non doverne neanche discutere.
Poi, però, c’è sempre l’outsider della situazione: quello che se la gioca d’azzardo e vince la partita facendoti saltare i nervi. A quel punto cerchi, per buonsenso, di spiegare e di dimostrare le cose, ma non serve a niente se non a peggiorare una situazione già molto precaria.
Esistono persone dalla sicumera tale per cui, anche un tuo tentativo di uscirne con gentilezza, viene tramutato in boomerang: te lo lanciano contro.
Ti fanno perdere tempo ed energie senza saper chiudere con un semplice “Ok, grazie, ciao.”
A questo punto – come Seneca scrive al suo pupillo – prendersela è da stolti.
Basta sapere che la sola, vera, grande ricchezza posseduta dagli esseri umani è il tempo, un tempo della cui durata nessuno è consapevole, oltretutto, un tempo contingentato.
C’è da dire altro per evitare di spenderlo con chi non riesce neppure a riconoscere l’evidenza?
A mio avviso no, non ci si può sentire così, specie assecondando chi denigra con frecciate nascoste, sibilline e da indolente. Per i miei parametri è un atteggiamento pusillanime.
Magari due passi sulla riviera, anche se è inverno, sono meno avvilenti per chi sta bene con se stesso e con la propria coscienza, è un mio stato di grazia che non vorrei mai venisse alterato inutilmente.



@lementelettriche
Paola Cingolani
22/04/2023

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BLOG – Auguri differenti

Non sono una persona abilissima coi saluti canonici: nulla di ciò che è comune mi riesce.
Non so se è un bene, né se è una mancanza, ma difetto della pazienza necessaria a dirsi e
a darsi sempre le solite solfe prestabilite.
Prendetemi per quella che sono, la mia non è una critica rivolta a chi ne è capace.
Vorrei condividere con voi alcune cose, nonostante tutto, qualora vogliate leggere queste parole:
– ho riso da sola come una bambina guardando casualmente una foto (un mio coetaneo col caschetto no, non lo si può guardare senza scoppiare, richiama alla mente Elthon John ai
tempi di “Crocodile Rock” ma – come volevasi dimostrare – non è lui);
– ho tempo per rilassarmi e Leone, il Dachshund, ha cacciato tutti dalla mia stanza ringhiando;
– c’è una brezza discreta che sembra pulire il cielo e speriamo non peggiori il tempo sulla riviera;
– aspetto con gioia ospiti per una riunione conviviale e – non si sa mai – il vino abbonda;
– ho dei libri nuovi, proseguo le letture, certo, ma sto raccogliendo anche alcuni miei versi;
– la scorta di caffè c’è, come pure il resto, non manca nulla: fino a martedì non uscirei di casa neanche se mi pagassero una cifra da capogiro;
– è un weekend di relax qui, nel mio nido vista mare, significa avere una gran pace.

Non mi interessano i ritrovi forzati, ho salutato educatamente chi mi è a cuore e, in merito
alle “rare voci che non si sono udite”, credo di non subire una grave perdita, anzi: va bene così.
Ho fatto il mio, tanto deve bastare a tutti.



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Paola Cingolani
08/04/2023

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BLOG – Elogio personale del dubbio

“Il dubbio è scomodo ma solo gli imbecilli non ne hanno.”

(Voltaire)

Quell’umanità che è piena di certezze, che si sente forte, che – se solo c’è un dubbio, allora, c’è da scartare tutto – mi lascia l’amaro in bocca. Il guaio è questo mio percepirla troppo convinta del proprio nulla trasformato abilmente in tutto (e neanche si capacita che, infondo, è la stessa cosa: si straccia le vesti per un niente così come fosse veramente l’essenziale).

Mi sta bene, che detenga pure il Verbo, basta solo che lo vada a detenere altrove. Io sono retrò, probabilmente vintage, classica – volendo anche antica – ma sono fatta così e quelle troppe certezze basate sul niente non mi attraggono, anzi, mi urtano.
Sono una che plaude ancora al dubbio quale unica e sola via per procedere verso una concezione della conoscenza rinnovata e maggiormente consapevole.

La consapevolezza non è fatta di sola teoria. Per essere consapevoli bisogna aver sperimentato anche praticamente le cose delle quali si argomenta: non è consapevolezza quel giudicare arbitrariamente, senza alcuna toga, senza neanche che ci sia una richiesta. Se si stroncano le persone, poi, si è realmente venefici.


Le opinioni personali – sputate come sentenze inappellabili – sono sempre del vero egoriferito, specie perché colpiscono il prossimo. Trovo più bisognosi di luce riflessa tutti questi moderni Torquemada on line, che coloro che si mostrano liberi, senza maschere inutili. Questa è la mia idea di chi, non essendo interrogato, si inerpica in giudizi espressi come fosse lo sport del momento, quello più in voga.

Infondo è un gioco facile: tirare le freccette al bersaglio, senza neanche fare centro, tanto per dire che si è fatto un giro di giostra e si è saliti sul baraccone.

“Scenderai
sulle scale automatiche dei templi di Mercurio
tra cadaveri in maschera,
tu la sola vivente,
e non mi chiederai
se fu inganno, fu scelta, fu comunicazione
e chi di noi fosse il centro
a cui si tira con l’arco dal baraccone.”

Eugenio Montale – Da “Gli uomini che non si voltano”



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Paola Cingolani
31/03/2023

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STELLA DI PERIFERIA – Gio Pini

STELLA DI PERIFERIA – GIO’ PINI – ARMANDO EDITORE


Recensione a cura di Paola Cingolani


“Stella di periferia” segna l’esordio letterario di Giò Pini, è presente nel catalogo di Armando Editore e lo si trova sia in libreria, sia in tutti gli store digitali.


La protagonista della storia, Anna, riesce a stupire sin dall’inizio del racconto poiché impersona una figura completamente fuori dall’ordinario, tanto che – in alcuni tratti – leggendo mi sono esaltata moltissimo.
Anna è una sorta di Universo a parte, una stella che brilla di suo: si giostra benissimo in situazioni apparentemente complesse – così da catalizzare l’interesse delle altre figure che le ruotano attorno – (non solo del lettore).

Le donne come lei, del resto, non sono, né potrebbero essere delle chimere.

La trama non è mai banale, risulta coinvolgente fino alla fine e ci lascia del tutto “appesi a un filo”, fino all’ultimo carattere di stampa, quello posto nella riga finale.
Ogni capitolo porta il titolo di una canzone, leggendo è quasi come ascoltassimo la playlist della sua vita rocambolesca e vivessimo le avventure di Anna, insieme a chi ne fa già parte.
Si susseguono colpi di scena alla “Mission impossible” e racconti di esistenza quotidiana, prese di posizione forti e dolcezze profonde, tutto in un mix di hit internazionali, incontri, vicende così particolari da rendere “Stella di periferia” un’opera prima assolutamente imperdibile.

In una parola: libro super consigliato.



@armandoeditore.it

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Paola Cingolani
23/03/2023


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“Parole arbitrarie”

Mariam Sitchinava Photography

Questo è stato un periodo denso di parole dette e lette in maniera del tutto arbitraria.
Avrei voluto approfondire tanti concetti, scrivere qualche cosa di nuovo, degli articoli in più, ma mi sono sempre fermata.

Non che mi mancassero le idee, si sappia, è che a mancarmi è stata l’energia.
Mi sono sentita cadere le braccia, quasi non avessi più né la pazienza, né la voglia di leggere le solite ovvietà, i soliti luoghi comuni – quelli che vedo prosperare ogni giorno più del precedente – inesorabilmente, tra polemiche sterili e messaggistica vana.

Cominciavo, afferravo un’idea, cullavo un pensiero, ma poi lasciavo stare e rimandavo.

Non ho voluto prosperare in questa accozzaglia perché mi è venuta a noia terribilmente.
In verità ho pianificato molto dettagliatamente progetti nuovi di scrittura, di lettura, di fotografia e di editing.
Se c’è il desiderio di riordinare materiale – anche per una silloge – va tutto bene: significa che la mia indagine interiore non si è estinta e, con essa, neanche il mio pensiero.
Il Deus ex machina che mi guida, fino a prova del contrario, sta funzionando bene.

***
Sento gocce che mi scivolano addosso

come il fiato rarefatto

quando scorre sui vetri e li appanna

_ potrei scriverci con le dita
o farci anche un disegnino _

ma intanto resto chiusa nella mia bolla

sono perfettamente posizionata su di me


e non trovo spazio per le parole arbitrarie.
***

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Paola Cingolani
22/02/2023




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BLOG – “Mai Allinearsi”

Karrah Kobus Photo

La verità: se anche esistesse sarebbe soggettiva. Quanto ferisce me profondamente – per dire – ad altri sembra cosa giusta. Punti di vista. E’ per questo che ho imparato a diffidare: le più grandi cose le ho capite alimentando i dubbi e mettendo da parte quello che sembra scontato. 
Non ci sono sempre cose ovvie e quasi nessuno, mai, si ricorda di te. Non ci sono persone che sentono quello che senti tu e non capiscono che la tua pena, il tuo supplizio più grande è quel senso di abbandono. Perché ci si sente abbandonati sempre, ogni qual volta si soffre e ci si dedica al prossimo per poi restare soli. Ci si sente abbandonati ogni volta in cui si parte insieme e – all’arrivo – guardandosi attorno si scopre di essere rimasti da soli, per enne ed uno mila motivi che sono stramaledettamente più importanti.
Che tu sia uomo o donna poco conta, resterai sempre equidistante dal resto; vedrai come le cose, comunque, prenderanno il loro corso e tu – per i più – dovresti solo adeguarti e subire. 
Ma non ti adeguerai, mai. Non lo farai finché avrai il cuore, il cervello e la fidata compagnia di te stesso: non sarai mai allineato fino a quando non ti sentirai subordinato. 

Non sarai allineato, non fino a quando la gente brillerà avanti ai tuoi occhi con comparse simili alle luci intermittenti, non accetterai mai coloro che ci sono solo a fasi alterne, non approverai mai chi ti accende e insieme ti spegne.
Non ci riuscirai e ti porrai ad una distanza fondamentale dal resto, dalla massa. Camminerai in solitudine e non sarai un essere svilito: se ti rispetterai ti batterai la spalla e continuerai – diffidando – il tuo cammino. Procederai confidando in tutti ma sapendo che resterai ancora mille volte straziato dalla delusione, quindi continuerai a dare la tua mano pur se profondamente consapevole che – il più delle volte – servirà solo da appiglio per chi, vedendola, ci si aggrapperà. La tua mano non verrà mai carezzata da coloro che, più comodamente, diranno una fra le frasi peggiori che noi tutti diciamo troppo spesso: “Ho così tanto da pensare alle mie cose.”


“Non subordinarsi a niente, né a un uomo né a un amore né a un’idea; avere quell’indipendenza distante che consiste nel diffidare della verità e, ammesso che esista, dell’utilità della sua conoscenza. Appartenere: ecco la banalità. Fede, ideale, donna o professione: ecco la prigione e le catene. Essere è essere libero. No: niente legami, neppure con noi stessi! Liberi da noi stessi e dagli altri, contemplativi privi di estasi, pensatori privi di conclusioni, vivremo, liberi da Dio, il piccolo intervallo che le distrazioni dei carnefici concedono alla nostra estasi da cortile.”

— Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa 

@lementelettriche
26/01/2023
Paola Cingolani