Tengo alla metrica, al ritmo della frase, alla cadenza della pagina, al suono delle parole. E guai alle assonanze, alle rime, alle ripetizioni non volute. La forma mi preme quanto la sostanza. Penso che la forma sia un recipiente dentro il quale la sostanza si adagia come un vino dentro un bicchiere, e gestire questa simbiosi a volte mi blocca.
Ma vi sono momenti, nella Vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre.
Dio, quanto mi fanno schifo i voltagabbana! Quanto li odio, quanto li disprezzo! I voltagabbana in Italia sono sempre esistiti in abbondanza: d’accordo. Io mi diletto di Storia, e so bene che gli italiani sono sempre stati dei voltagabbana. Per rendersene conto basta ricordare come si comportarono i sindaci toscani ai tempi degli Asburgo-Lorena. Come saltavano dal Granduca a Napoleone e da Napoleone al Granduca. Però mai quella sconcezza ha raggiunto le vette disgustose di oggi. E la cosa più tremenda sai qual è? È che, essendovi abituati, gli italiani non se ne scandalizzano affatto. Anzi si meravigliano se uno resta fedele alle sue idee.
Oriana Fallaci
Avrei voluto essere brava almeno una centesima parte di quanto lo è stata Oriana: dal ritmo alle assonanze, dalla metrica alle cadenze, ai suoni e al resto.
Per non parlare dei concetti che non posso non condividere.
Ho sempre pensato che ci sono momenti in cui tacere è una colpa e parlare diviene obbligo.
La cosa che mi irrita e mi sdegna sono i voltagabbana.
Coloro che – veramente disgustosi – si presentano con la veste dell’amico per poi colpire alle spalle.
Non c’è peggio razza di un traditore.
Oriana docet!
Costoro dovrebbero leggerla e rileggerla per poi – ammesso che ci riescano – guardarsi allo specchio.